In viale Caprera 6 si trova uno dei villini liberty meglio conservati della città e tutto ebbe inizio in una tiepida mattina di maggio del 1910, quando Antonio Falchi, un giovane professore universitario in piena ascesa, si recò negli uffici del Comune per acquistare il lotto numero 30 del nascente quartiere di Cappuccini. A braccetto aveva l’adorata madre, la signora Angelina Cicu che, per tenere vicina la famiglia, comprò a sua volta un lotto, il numero 32, che era esattamente a fianco a quello del figlio. Professor Antonio, nel suo terreno edificabile di 500 mq, eresse l'elegante villino salmone, che fece progettare al raffinato ed altrettanto giovane ingegner Raffaello Oggiano, mentre sua mamma sui suoi 350 mq fece costruire una classica casa signorile a due piani. Ancora oggi le abitazioni si trovano perfettamente adiacenti.
Antonio Falchi, nel 1913, notando che l'attiguo lotto 29, che affacciava in viale Mameli - dietro il villino - non era stato ancora venduto, ebbe l’idea di comprarlo per adibirlo a giardino privato, a perfetto complemento della sua proprietà. Vi era però un problema: il regolamento edilizio del nuovo quartiere imponeva che in ogni lotto ci fosse sempre una casa, perché, per evitare disomogeneità, non era consentito destinare terreno a nessun altro utilizzo, se non quello strettamente abitativo. Ci furono trattative febbrili e la Giunta fece un piccolo strappo alla regola, esaudendo il desiderio di Falchi, che, tra l’altro, all’epoca era anch’egli assessore. Non si trattò di smaccato favoritismo: come contropartita il lotto divenuto giardino gli venne fatto pagare di più, ovvero 1.75 lire al mq e non 1.50, con obbligo di conservare la vegetazione curata, bella e protetta da una graziosa cancellata, ed Antonio, dal canto suo, si impegnò, se fosse stato necessario, a mantenere a proprie spese anche le facciate laterali delle case dei vicini che sarebbero sorte confinanti al suo giardino.
Falchi, il cui nome completo era Antonio Gavino, aveva vinto da poco il concorso per la cattedra di professore ordinario nella piccola facoltà di Giurisprudenza di Sassari e, viste le spese e la premura per la realizzazione della sua dimora, pensava forse che vi sarebbe rimasto per diverso tempo. In realtà, la sua vita fu da subito nomade e la carriera in crescendo lo portò prima a Parma poi a Cagliari e nel 1925, a circa dieci anni dall'ultimazione della casa, arrivò un’importante chiamata dall’Università di Genova. Il professore si trasferì dunque in Liguria, dove abitò per il resto della vita, ma mai volle vendere il suo villino sassarese, che rappresentò l’anello di congiunzione con la sua città natale ed anzi, proprio grazie a quel giardinetto, ne divenne perfetta residenza estiva, nella quale riparava alla fine di ogni anno accademico.
Buffo a pensarlo, Falchi era divenuto brillante docente universitario quasi forzatamente. Suo papà, che si chiamava Giovanni Battista (sassarese classe 1845), fu avvocato di discreto successo e pretese che almeno uno dei suoi figli ne raccogliesse l’eredità professionale. L’obbligo ricadde proprio su Antonio, a cui venne imposto di laurearsi in giurisprudenza per poi iniziare la carriera voluta dal genitore. Antonio, però, studiava anche al conservatorio, amava la scrittura ed avrebbe voluto un futuro nel mondo sublime della musica. Alla fine fu raggiunto un compromesso: lui si sarebbe laureato in leggi, ma non avrebbe fatto l’avvocato, bensì il professore di Filosofia del diritto, un impiego che gli consentiva, sebbene in modo collaterale, di valorizzare le sue caratteristiche principali, ovvero il comunicare intimamente con le persone e l'introspezione.
Nei lunghi periodi di assenza da Sassari, l’asso nella manica di Falchi fu la fidata sorella, la minuta e pacifica Speranzina, che nella stagione fredda si prendeva diligentemente cura del villino, del giardino e del pollaio, in attesa che il fratello tornasse in vacanza; cosa che accadde per tre decenni quasi filati. Ogni volta che il baffuto Antonio arrivava, era una festa. Non appena sceso dalla carrozza, che dalla stazione lo riportava sul dolce colle dei Cappuccini, invitava i vecchi amici, i colleghi o qualche vicino, parlava nuovamente sassarese e nell'elegante salone suonava per loro il violino. La musica, infatti, rimase una costante nella sua vita e a Genova, se fiaccato dal lavoro, si chiudeva nel suo ufficio, prendeva in mano lo strumento e quando ne usciva era di nuovo sereno come un bimbo. Sempre la sorella Speranzina lo allietava cucinando traboccanti pentole di “monzette”, che lui adorava e che nella lontana Genova nessuno sapeva cosa fossero. Durante l’estate il villino Falchi rinasceva, si ripopolava, e dal mattino alla sera non era raro che persone semplici che non sapevano leggere, o persino i frati della vicina chiesa, si recassero dal "professore" per chiedergli qualche consiglio su come impostare una successione o un atto di vendita. Falchi accoglieva tutti, parlava con chiunque e lo si trovava a discorrere su Dio o la politica anche fra le cassette di fagiolini e peperoni al mercato civico. Arrivato Settembre, andava via, lasciando disposizioni anche sul vino da inviargli a Genova e che veniva fatto dai vitigni di sua proprietà, che gli vennero espropriati nel dopoguerra per realizzare il quartiere di Latte Dolce.
Antonio Falchi, che a Genova fu anche preside di facoltà per quasi 20 anni, era rimasto vedovo della prima moglie Maria Murtula nel 1938 ed ancora oggi la famiglia conserva le lettere struggenti che scrisse durante la malattia terminale della sfortunata donna, ma come nelle più rosee storie, una volta rimasto solo, l’intelligente, coraggiosa ed emancipata Iris Bottale, una sua ex studentessa di origini piemontesi, molti anni più giovane di lui, si innamorò del suo colto fascino maturo e lo sposò nel 1943, donandole, quando sembrava impossibile, la sua prima ed unica discendente, infatti Antonio divenne papà a 65 anni e fu la gioia più grande della sua vita. Professor Falchi morì anziano nel 1963 ed Iris, proprio la seconda moglie, con un gesto di grande bontà d'animo non volle che fosse sepolto a Genova, ma a Sassari, al fianco di Maria, la prima moglie. Quando 40 anni dopo morì anche Iris, lei li raggiunse, ed ora prof Antonio ha entrambe le donne della sua vita per sempre accanto al cimitero di Sassari.
Per questo strano incrocio di destini, la figlia di Antonio Falchi (nonostante lui sia morto sessant'anni or sono) è oggi una signora nostra contemporanea ed ho avuto il piacere di conoscerla e, con un inconfondibile accento genovese, ha gentilmente accettato di completare le mie ricerche. Lei vive da sempre nel capoluogo ligure, ma rinnova il rito estivo, tornando qualche settimana per godere della pace del villino sassarese, costruito dal suo mitico papà oltre 100 anni fa e che porta da sempre in facciata le sue iniziali, “AF”.
*** Questa ricerca storica ha richiesto impegno e tempo. Per scopi divulgativi si può riprodurne in parte il testo, citando obbligatoriamente me ed il mio blog come fonte (anche qualora ne cambiassi le parole utilizzandone però le informazioni). Per scopi commerciali (libri, pubblicazioni etc.) è necessario chiedermi preventivamente anche il permesso. Grazie per la lettura. ***