sabato 26 dicembre 2020

LA TRISTE E AFFASCINANTE VICENDA DEL GIOVANE SASSARESE FERDINANDO MARIANINI.

Testo e foto di Marco Atzeni (con ricerca sulla cronaca dell'epoca di Fabrizio Vanali). Un grazie speciale a Luciano e Barbara Sanna. Grazie anche a Giancarlo Vacca e Alessandro Sirigu per la collaborazione.


Un umido pomeriggio di aprile del 1894, verso le cinque, il ventenne Ferdinando Marianini indossò i suoi stivaletti, abbottonò il cappotto doppiopetto ed uscì di casa. Abitava con la famiglia in un elegante immobile nella parte iniziale dell'allora via Ospedale Civile, al numero civico 4, oggi via Enrico Costa. Una casa non sfarzosa come altri palazzi signorili del vicinato, ma pregevole a sufficienza per comprendere la condizione agiata dei suoi genitori.

Dopo aver chiuso alle sue spalle il portone ad arco, Ferdinando iniziò una lunga camminata. Arrivò prima allo spiazzo sterrato del mulino a vento, all'apice di via Roma, dove si concludeva il centro abitato, poi proseguì per le lontane campagne di Serra Secca. Era una zona che conosceva, perché la sua famiglia possedeva alcuni terreni in quella località e nel tragitto si imbatté giustappunto in uno dei braccianti che lavorava per i suoi genitori. Ferdinando lo salutò con una frase talmente inconsueta che l'uomo si convinse di aver capito male. A testa bassa e con le mani in tasca, il giovane Marianini procedette sino alla strada per Osilo e si addentrò silenzioso per gli ancor più sperduti boschi che conducevano al bacino del Bunnari. Eludendo la sorveglianza, arrivò di nascosto sullo strapiombo della diga che allora alimentava Sassari, fumò la pipa per qualche minuto, lasciandola poi sopra un piccolo masso. Si tolse i vestiti e li ripose ordinatamente in un luogo visibile. Fece gli ultimi tre passi del suo percorso cominciato un paio d'ore prima, chiuse gli occhi e si gettò nel nulla. Pochi istanti dopo calarono le tenebre.

A casa Marianini si attese con angoscia il suo rientro fino all'indomani, poi fu chiaro che fosse accaduto qualcosa di spiacevole. L'ultimo ad aver visto il ventenne fu proprio quel bracciante. L'uomo indirizzò le ricerche, rivelando anche l'oscuro saluto rivoltogli dal giovane il giorno prima: "Ci vediamo all'altro mondo!". Carlo, il fratello di Ferdinando, si recò al Bunnari con una carrozza e lì, come previsto dal protagonista, vennero rinvenuti gli indumenti. Con zattere improvvisate e cordame, le forze dell'ordine, gli amici, i conoscenti ed i compagni di studi si spesero nel tentativo di ripescare lo sventurato, ma nessuno vi riuscì, neppure il palombaro professionista Enrico Cafiero, fatto chiamare da Porto Torres. Dopo diversi giorni, le autorità dichiararono inutili le attività di recupero. L'acqua era troppo torbida e profonda. Lo spettacolo terminò anche per le decine di curiosi che ogni mattina si assiepavano in attesa.

A sorpresa, ben due lunghi mesi dopo, il signor Madau, custode dell'area del Bunnari, urtò qualcosa con un remo mentre gironzolava in barca sul bacino e col cuore in gola scoprì che il pietoso corpo di Ferdinando era riemerso autonomamente dal fondale limaccioso. Così, la famiglia Marianini ebbe almeno la possibilità di piangere il suo caro. Ferdinando, determinato sino all'inverosimile, si era immobilizzato le braccia con la cintura per evitare ogni ripensamento. Sua madre, che era signora Vincenza Caggiari, e che come ogni mamma sperò a lungo che la realtà fosse diversa, non si riprese mai più. Suo padre, Labano, si ammalò. La città volle salutare degnamente il ragazzo e proprio dalle campagne dei Marianini, vicine al luogo del ritrovamento, partì il corteo funebre. La folla passò lungo l'odierno viale Dante, che all'epoca era uno stradone nell'agro, per poi indirizzarsi verso Santa Maria ed arrivare infine al cimitero di San Paolo, dove quattro suoi amici tennero commoventi discorsi. Era il pomeriggio del 2 giugno 1894.

Ferdinando era un affascinante ed educato studente dell'Istituto Tecnico di Sassari e dopo il suo gesto si diffuse la voce, alimentata anche dalla stessa famiglia per attenuare le reali motivazioni, che da bambino parlasse con i defunti e che uno di questi, incontrato in cantina, gli avesse augurato un fatale destino accarezzandogli i capelli. La verità nascosta, invece, era ben più terrena: Ferdinando aveva perso la testa per la graziosa Antonina, ma i genitori del ragazzo proibivano una relazione con una persona di estrazione sociale più bassa. Antonina, infatti, pare fosse una giovane domestica di casa Marianini. Ferdinando, puro d'animo, se ne innamorò onestamente e non voleva prendersi gioco di lei, come invece facevano segretamente altri rampolli sassaresi con le loro domestiche. Qualcuno sussurrò che lei aspettasse un bambino, ma questo mai lo sapremo. La donna fu malamente cacciata e per Ferdinando ciò fu causa di una grave ed irreversibile depressione che portò all'epilogo della vicenda.

Da allora, Ferdinando ha un busto al cimitero monumentale di Sassari che i genitori posero per ricordarlo, nella speranza di trovare la forza di sopravvivere al dolore e al rimorso. Il busto fu commissionato, senza badare a spese, al richiestissimo scultore Giuseppe Sartorio. Ferdinando, dal canto suo, sapeva bene a chi dedicare l'ultimo pensiero e prima di lasciare il mondo ripose con cura un foglietto nella tasca della sua giacca, c'era scritto "Addio Antonina".


Il meraviglioso dipinto originale che ritrae Ferdinando Marianini in persona e dal quale si ha conferma del suo bell'aspetto. L'opera, che ha oltre un secolo, è in possesso dei discendenti di Melania Marianini che era una delle sorelle di Ferdinando. Melania era nata nel 1879 e alla morte del fratello aveva 15 anni. Sebbene lui sia morto a soli 20 anni nel 1894, in famiglia, nel corso dei decenni, tutte le successive generazioni pur non avendolo mai conosciuto lo hanno sempre ricordato affettuosamente come "Zio Ferdinando". Il suo gesto, paradossalmente, lo ha reso immortale. (foto gentilmente concessa in esclusiva dalla famiglia Sanna-Salaris)

L'ingresso di casa Marianini. Oggi si tratta del civico 14 di via Enrico Costa, ma all'epoca dei fatti era il numero 4 di via Ospedale Civile. Si trova nella parte iniziale, a pochi passi dall'angolo con via Brigata Sassari. Anche nei successivi decenni l'immobile fu abitato da alcuni discendenti della famiglia, una di loro si chiamava Fernanda Marianini Vai, sposata Sisini, figlia di un fratello di Ferdinando e così battezzata, assai presumibilmente, in memoria del giovane zio scomparso. (grazie alla sig. Sotgiu)

Il busto realizzato dallo scultore Giuseppe Sartorio raffigurante Ferdinando Marianini. Curiosamente, la dicitura incisa sul basamento riporta il cognome Mariannini, con due "n", sebbene il cognome corretto sia con una sola "n", come confermato dai discendenti. Il motivo della doppia "n" rimane un mistero. Forse si trattò di un semplice errore che per praticità si è preferito non far correggere. Si consideri anche che nell'800 non era raro che un cognome, soprattutto se non sardo, venisse storpiato e ne circolassero diverse versioni anche nei documenti ufficiali, che erano sempre trascritti a mano.



*** Questa ricerca storica ha richiesto impegno e tempo. Per scopi divulgativi si può riprodurne in parte il testo, citando obbligatoriamente me ed il mio blog come fonte (anche qualora ne cambiassi le parole utilizzandone però le informazioni). Per scopi commerciali (libri, pubblicazioni etc.) è necessario chiedermi preventivamente anche il permesso. Grazie per la lettura. ***