domenica 5 gennaio 2025

LA TRAGEDIA A SASSARI DI MICHELINO CANESSA. LO SPARO IN PIAZZA AZUNI DELL'ESTATE 1896.

 Testo e ricerca storica di MARCO ATZENI (fonti documentali: registri di Stato Civile, quotidiano "La Nuova Sardegna", cessato catasto in Archivio di Stato).

Il pomeriggio del 31 luglio 1896 poche persone risalivano il Corso e sbuffavano cercando ombra rasente ai muri. Alle quattro precise, uno sparo rimbombò in piazza Azuni. I passanti sussultarono e i balconi si popolarono, ridando vita alle case sopite nell'afa. «Dov'è stata l'esplosione?», ci si chiedeva angosciati. Le voci strazianti non lasciavano dubbi. Qualcosa di orribile era accaduto a palazzo Canessa. Il vicinato accorse alla cantonata di vicolo Bertolinis, all'ingresso dell'edificio. Le signore si coprivano la bocca con la mano. Gli uomini tenevano il naso all'insù cercando di intuire qualcosa. Le urla non cessavano. Passata mezzora, il pretore Riccio bussò al portone. Con lui si fecero spazio il vice cancelliere Ganga, il maresciallo dei carabinieri Pillai, il delegato di pubblica sicurezza Amati e il medico Cordella. Il cavalier Canessa, il settantenne proprietario dell'immobile, si precipitò ad aprire. Li guidò disperato su per le scale, sino a una camera al quarto piano. Davanti a una finestra aperta, giaceva sul pavimento un giovane dalla camicia insanguinata. Di fianco, una rivoltella di piccolo calibro. «Mio nipote si è sparato!», ripeteva il cavalier Canessa tenendosi la fronte.

Quel ragazzo era Michelino Canessa e aveva 17 anniInizialmente, aveva convinto il padre a permettergli di arruolarsi nella marina mercantile, ma dopo due anni di navigazione, s'era stufato ed era tornato sui banchi di scuola. Aveva appena terminato senza troppe luci il primo anno all'istituto tecnico di Cagliari, dove viveva coi genitori, ed era a Sassari a godersi l'estate a casa del nonno, ricco mercante ligure. Non aveva relazioni amorose e in città aveva compagni, essendoci cresciuto. Non c'erano biglietti d'addio. Gli inquirenti voltarono lo sguardo verso le domestiche che piangevano in un angolo. Una raccontò singhiozzante che Michelino era andato proprio da loro. Aveva detto col sorriso "Donne, avete mai visto la mia rivoltella? Eccola!" e riferendosi a un recente caso di suicidio cittadino, sul quale aveva espresso disapprovazione, aggiunse "Faccio come quell'altro?". Direzionata la canna verso di se, era partito il colpo mortale. Il dottor Cordella era chino sul corpo e vi indicò un forellino all'altezza del sopracciglio destro. Se vi fosse volontà - affermò - lo sparo sarebbe stato meglio direzionato. Tutti annuirono e, nel silenzio agghiacciante, il pretore lasciò la stanza disponendo che le spoglie rimanessero alla famiglia. Il caso era chiuso. "Disgrazia, non suicidio", chiarirono le cronache, anche per allontanare le malelingue che, all'epoca, accompagnavano i gesti estremi.

Nonno Canessa era uomo conosciuto e la notizia saettò per le vie di Sassari. Michelino fu adagiato sul letto e arrivarono attoniti gli amici, che rimasero tutta la notte al capezzale, nell'illusione che l'imberbe volto, cereo, riprendesse colore. Gli zii, frattanto, erano corsi all'ufficio postale per inviare a Cagliari il peggiore dei telegrammi. Ricevutolo, i genitori del giovane salirono angosciati sul primo treno. Dopo ore di strada ferrata, passate a pregare in un malinteso, arrivarono alla polverosa stazione di Sassari all'indomani della tragedia, alle 18,40, in tempo solo per il funerale, che si svolse alle 19,30 nella chiesa di San Paolo. Signora Caterina Crispo, la mamma, stanca e stravolta, fu sorretta mentre ascoltava le parole dello studente Esposito, migliore amico del figlio, che leggeva commoventi parole. Purtroppo, da quella sera, la donna smise di mangiare, iniziò a fissare in lacrime il vuoto e non dormiva più. Il peggior dolore che una madre possa provare la divorava. Indebolita, si ammalò. Nel febbraio 1898, appena un anno e mezzo dopo la tragedia, una seconda bara, sferzata stavolta dal vento invernale, usciva dal portone di palazzo Canessa. Era mamma Caterina, spentasi a 39 anniPrima di chiudere gli occhi, la donna disse con un filo di voce al marito Arturo «Adesso vado da Michelino».

La sciagura di piazza Azuni fu solo una delle innumerevoli fatalità causate dalla libera circolazione delle armi. Anche a Sassari, nell'800, accadeva che un ragazzino detenesse una rivoltella o che un villico entrasse impettito ai giardini pubblici con una carabina a tracolla. Qualche donna nascondeva una pistola nel comodino. Così, si impilarono omicidi d'impulso e incidenti. Fu necessario attendere il 1956 per la legge nazionale sull'obbligo della licenza di porto d'armi. Per la povera Caterina era troppo tardi. Ormai, lei era in cielo da oltre 50 anni, di fianco al suo sventurato Michelino. Vittime di una goliardata in un noioso e afoso pomeriggio nella polverosa Sassari di 130 anni fa. In loro memoria.

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Tomba cimitero monumentale Sassari Michelino Canessa e Caterina Crispo
Al cimitero monumentale di Sassari, Michelino Canessa e la mamma Caterina Crispo riposano assieme per l'eternità. Sappiamo che volto avessero poiché la famiglia li fece rappresentare (probabilmente da Sartorio) con due bassorilievi. L'epitaffio, inserito tra pagine scolpite, recita "Il libro della vita si chiuse per violenza di fato segnando la parola fine all'alba della giovinezza. La tenera madre, colpita da mortale dolore, volle comune la tomba col figliolo". Decenni dopo, con loro furono sepolte Antonietta Crispo, sorella minore di Caterina, e la figlia Maria Oggiano (cugina di Michelino).

Palazzo Canessa, il cui quarto piano fu teatro della tragedia, è il secondo da sinistra (anche nella foto all'inizio). L'immobile apparteneva al negoziante Michele Canessa che, nato a Rapallo e trasferitosi da ragazzo a Sassari nella metà dell'800, raggiunse l'agiatezza grazie alle doti imprenditoriali. Fu anche amministratore della Banca d'Italia e benefattore del Ricovero di mendicità. Michelino era così chiamato proprio in onore del nonno, anche se il primo nome del giovane era Umberto. Lo sventurato era nato nel 1879 a Genova, in piazza Cavalletto, dove la famiglia aveva un altro palazzo. Suo padre Arturo Canessa era avvocato contabile all'Intendenza di Cagliari.

Sebbene la facciata svetti su piazza Azuni, l'ingresso di palazzo Canessa è in vicolo Bertolinis. Proprio dal portone al civico 1 uscirono per l'ultima volta Michelino e sua madre. I genitori di Michelino si conobbero in quanto vicini di casa. Mamma Caterina, infatti, era la figlia maggiore di Gian Vittorio Crispo, storico speziale cittadino, e da bambina abitava nella retrostante via dell'Insinuazione, al civico 3. Caterina perse il padre quando aveva dieci anni. Pertanto, Michelino non conobbe il nonno materno, ma solo quello paterno, di cui era il pupillo.

Palazzo Canessa è oggi inalterato. Curiosamente, il cavalier Canessa non spese in abbellimenti architettonici. Sulla facciata, di recente tinteggiata, vi sono pochi decori rispetto al palazzo Bozzo (sinistra in foto) e alla casa Tomé (destra). La morigeratezza era compensata dai 7 enormi vani di cui era dotato ogni piano. L'immobile ha anche i sotterranei.



*** Questa ricerca storica ha richiesto impegno e tempo. Per scopi divulgativi si può riprodurne in parte il testo, citando obbligatoriamente me ed il mio blog come fonte (anche qualora ne cambiassi le parole utilizzandone però le informazioni). Per scopi commerciali (libri, pubblicazioni etc.) è necessario chiedermi preventivamente il permesso a sassariantica@gmail.com - Grazie per la lettura. ***