domenica 22 dicembre 2019

IL MITICO PALAZZO TAVOLARA ALL'ANGOLO DI VIA BRIGATA SASSARI, LA SUA STORIA.

Ricerche, foto e testo di Marco Atzeni (con la collaborazione di Mario Tola)
Se siete in possesso di materiale o info aggiuntive, scrivetemi pure a sassariantica@gmail.com


Il mitico palazzo alla biforcazione di via Brigata Sassari nacque nel 1842, quando Andrea Tavolara acquistò dal Comune, per 191 lire sarde e 5 soldi, i 482 mq di terreno nell’angolo inferiore dell’isolato numero 4. Proprio di fronte, dove molti decenni dopo sorgerà l'imponente immobile degli uffici delle poste e telegrafi, c’era ancora il rifugio delle orfanelle, chiamate le "Figlie di Maria".

Tavolara, venuto da Santa Margherita Ligure, negoziava merci tra Sassari e Genova in società col signor Verdura e fu consigliere sia in Comune che nella Cassa di Mutuo Soccorso della città. Egli rappresentò alla perfezione la figura tutta ottocentesca dell'uomo d'affari venuto da "fuori" per accumulare denaro a Sassari. Come lui, infatti, furono decine i liguri e i piemontesi che ebbero il coraggio e la lungimiranza di vedere nell'arretrata Sardegna la possibilità di enormi guadagni.

La parabola personale seguiva sempre gli stessi passi: dotati di un buon capitale di partenza, sfruttavano le proprie connessioni con sviluppate città d'oltremare per porre in essere fiorenti attività di scambio, principalmente finalizzate all'esportare merci sarde di gran qualità come il vino e l'olio ed importare beni moderni di cui Sassari era priva come stoviglie, ceramiche o abiti confezionati. Con un po' di arguzia, era un business che consentiva di accumulare enormi ricchezze in un periodo di tempo relativamente breve. Questi commercianti, con la forza del denaro, scalavano facilmente le gerarchie sociali cittadine, costruivano un palazzo per consacrare il loro potere e occupavano i principali posti politici, decidendo così le sorti della città.

Nello specifico, ad esempio, Andrea Tavolara ed il suo socio Verdura ebbero il prestigioso incarico di dare in affitto tutte le stoffe necessarie per il saluto funebre che si tenne a Sassari nel 1831, all'indomani della morte dell'allora Re d'Italia, Carlo Felice. Essi fornirono decine di metri di stoffa nera di gran pregio che adornarono a lutto l'altare della chiesa di Santa Caterina, che fu scelta per l'occasione. Per tal servizio, i due genovesi vennero compensati con "5 lire sarde per l'uso di ogni pezza da palmi 100 di scotto, ben inteso caricando al Municipio le pezze che si fossero guaste", così come ebbe a raccontare Enrico Costa. Quando il Comune restituì i tessuti noleggiati, Tavolara trovò subito un acquirente a cui rivenderli in blocco.

Andrea eresse il suo palazzo a 55 anni, abitandolo con la moglie Francesca Demuro e i figli. Sappiamo, infatti, che ebbe almeno 3 discendenti, due femmine, Rosa e Clementa ed un maschio, Eugenio. La maggior parte del palazzo rimase in mano, fino a fine '800, ai figli di Rosa Tavolara, maritata Podestà, che portavano, non a caso, lo stesso nome del nonno, Andrea e Nicolò Andrea. Anche se in realtà le cose andarono un po' complicandosi, perché diversi vani dell'immobile vennero poi pignorati dalle banche, forse perché dati in pegno per prestiti poi non onorati.

In un tiepido mattino di maggio del 1851, signor Andrea, da buon genovese, aveva anche dato curiosa prova della sua parsimonia quando, appena sveglio, scoprì che una delle sue fioriere all’ingresso in via Brigata Sassari era stata rotta (sebbene all'epoca la via non avesse alcun nome perché era uno stradone che andava fuori città). Preso il cavallo, andò in Comune e dopo un solo giorno fu deliberato che a ricomprargli il vaso fossero due povere Guardie Civiche, tali Solinas e Pirinu, cui venne tolto un giorno di paga perché colpevoli di non aver vigilato bene sulla via.

Tavolara, di certo, non poteva sapere che nell'estate del 1855 Sassari sarebbe stata flagellata da una terribile epidemia di colera che quasi la annientò, sterminando migliaia di abitanti. Andrea e sua moglie Francesca furono tra coloro che non ebbero la fortuna di uscirne indenni ed anche per loro la vita terminò in quella drammatica stagione.

Pochi sanno che nel 1886 persino Enrico Costa comprò diversi vani in quell'immobile, quando oltre a scrivere era ancora ispettore della Banca Agricola Sarda e proprio dalla quale aveva rilevato questa proprietà. Pochi anni dopo, però, nel 1890, rendendosi conto di non riuscire a far fronte al mutuo contratto, troppo elevato in proporzione alle sue entrate, raggiunse un accordo con il medesimo istituto di credito e permutò i vani in palazzo Tavalora con una casa più modesta, in via Cavour, che tutti i sassaresi conobbero poi come la sua dimora fino alle morte.

Il palazzo Tavolara, col suo lato obliquo, costruito quando c’era ancora il castello, è divenuto nei decenni uno dei più noti della città e dopo 180 anni, se ci passate davanti, vedrete ancora le iniziali “AT” dell'originario proprietario sopra i due portoni d’ingresso, uno per ogni via, quelle fioriere rotte, invece, non ci sono più.


“Strumento di vendita di un’area di terreno nell’area delle appendici di questa città regnato dall’ill.mo Consiglio Civico di Sassari in favore del negoziante signor Tavolara Andrea. L’anno del Signore milleottocentoquarantadue ed addì tre del mese di novembre in Sassari.” (Arch. Storico Comunale)

"Sentita la doglianza del sig. Tavolara negoziante Andrea per avergli rotto un vaso di fiori alla sua finestra (...) unanimemente è deliberato di doversi fare ritenzione d'una giornata di paga alle Guardie Solinas e Pirinu ed insieme rimpiazzare a Tavolara il vaso rotto con uno nuovo" (Sassari, maggio 1851, Arch. Storico Comunale) 

Se non si conosce il nome del proprietario, non è semplice decifrare le lettere scritte sopra il portone d'ingresso del palazzo, ma sapendo essere Andrea Tavolara, si riesce ad individuare una ampia A con al suo interno la T, ovviamente con i caratteri arzigogolati dello stile ottocentesco. Alcuni altri, invece, preferivano mettere le lettere in chiaro stampatello. Il portone, che mostra i segni del tempo, è lo stesso che apriva Tavolara nel 1850.

Nel corso di quasi due secoli, sono state scattate decine di foto al palazzo Tavolara, esso, infatti, si ritrovò involontariamente in una posizione strategica al centro della vita cittadina e per questo è divenuto noto a tutti. Questa foto, ad esempio, è dei primissimi del '900.

Un antico e bellissimo dipinto che ritrae donna Francesca Demuro, la moglie di Andrea Tavolara, che con lui abitò nel palazzo insieme ai figli. Francesca morì a Sassari di colera, così come il marito, nell'estate del 1855, quando aveva 61 anni. Dal ritratto ricaviamo l'esatto anno di nascita: 1794. L'opera è databile intorno al 1840-45 e nell'occasione vennero rappresentati in altri quadri anche vari congiunti, sicuramente anche il capofamiglia Andrea Tavolara, del cui dipinto però non si sa l'attuale destino. (grazie al signor G. Stile che conserva l'opera e la cui nonna era una discendente del ceppo Tavolara)



*** Questa ricerca storica ha richiesto impegno e tempo. Per scopi divulgativi si può riprodurne in parte il testo, citando obbligatoriamente me ed il mio blog come fonte (anche qualora ne cambiassi le parole utilizzandone però le informazioni). Per scopi commerciali (libri, pubblicazioni etc.) è necessario chiedermi preventivamente anche il permesso. Grazie per la lettura. ***


domenica 1 dicembre 2019

PALAZZO GIORDANO A SASSARI - LA SUA STORIA DI INTRIGHI E TRANELLI.

Foto, storia e ricerche di Marco Atzeni (con la collaborazione di Paolo Fadda)
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Giuseppe Giordano Apostoli, sassarese di buona famiglia nato nel 1838, ebbe l’intuizione della vita quando nel 1871 convinse il ricchissimo Giovanni Antonio Sanna, proprietario della miniera di Montevecchio, a concedergli in sposa Enedina, una delle sue 4 figlie. Le altre sorelle Sanna erano Amelia, Ignazia e Zely.

Solo 2 anni dopo, a distanza di 15 giorni dalla nascita della loro figlia Maria, Enedina morì a 23 anni (con accuse al Giordano di averla lasciata morire di proposito), poi nel 1875 morirono proprio i ricchi suoceri Sanna. Il decesso improvviso di Enedina rimane ad oggi un mistero, l'ipotesi più probabile sarebbe quella di complicanze collegate al parto, in ogni caso, la famiglia Sanna non perdonò mai al Giordano l'apparente distacco con cui accolse la scomparsa della giovanissima moglie.

Rimase un patrimonio immenso da spartirsi. Gli eredi erano le 3 sorelle Sanna coi rispettivi mariti a cui si aggiunse Giuseppe Giordano Apostoli che in realtà non era erede diretto, ma vi rientrava poiché era tutore della figlioletta Maria che gli garantiva la partecipazione al banchetto. Tra le decine di proprietà mobiliari ed immobiliari, dall’asse ereditario emerse anche una zona edificabile nella nascente piazza d’Italia. Nel 1877 una parte spettò al Giordano che ci fece costruire sopra il palazzo più sfarzoso della città, spendendo una somma mostruosa. Non si possono avere riscontri certi, ma non pare esagerato concludere che si trattò del palazzo di privata proprietà più costoso della storia di Sassari, non di molto inferiore al costo che venne sostenuto per costruire il palazzo della Provincia, che si trova proprio sul lato opposto della piazza, ma che fu finanziato da fondi pubblici e le cui dimensioni sono assai superiori a quelle del palazzo Giordano.

L'ingegnere fu Giuseppe Pasquali, cui subentrò in seguito il Fasoli cui si deve l'invenzione di tutta la parte artistica. Per costruirlo, Giordano si allargò anche su un’ampia parte di terreno che in realtà non era spettata a lui, ma ad un’altra figlia di Sanna, Ignazia, che per questo e altri motivi, gli portò rancore per il resto della vita. Il segreto sta nel fatto che il marito di Ignazia, che si chiamava Giommaria Solinas Apostoli, era cugino di parte materna e complice dello stesso Giordano e fu lui a dare il benestare alla mossa da avvoltoio. Non si dimentichi che nell'800 qualsiasi operazione patrimoniale doveva avere il benestare del marito, a prescindere dal fatto che l'effettiva titolare di un bene fosse la moglie. I due avevano già architettato diversi sotterfugi nella gestione del patrimonio familiare. In particolare, il marito di Ignazia aveva usato del denaro distratto dalle casse di famiglia per costruirsi un palazzo regale lungo viale Principe Amedeo, a Rimini, e fu dunque lui a suggerire al cugino Giuseppe Giordano di fare lo stesso a Sassari, non a caso raccomandandogli anche le medesime maestranze per realizzarlo.

I lavori colossali terminarono nel 1883 e per la parte puramente edile le opere furono eseguite da una delle più grosse imprese di Sassari, quella del capomastro Serapio Lintas. Chi ne vedeva gli interni gotici rimaneva estasiato, ma in molti giudicarono un oltraggio tanto ostentare. I sassaresi, infatti, tenuta in considerazione l'estrema povertà ed arretratezza in cui si trovava buona parte della città nel tardo '800, non erano in grado di comprendere tale slancio artistico che poteva apparire paradossalmente fuori luogo, anche confrontandolo agli altri palazzi circostanti, pur signorili, ma assai meno sfarzosi. Certo, il palazzo non avrebbe sfigurato nei ricchi viali di Roma cui Giordano era più abituato.

Il Giordano, avvocato che scelse la carriera diplomatica, si laureò in legge a Sassari, era attratto dall’esoterismo e affiliato alla loggia massonica di cui disseminò la simbologia all'interno del palazzo, sfruttò pienamente il suo potere e fu deputato per 30 anni, facendo politica a Roma ad alti livelli. Dal 1880 al 1910 fu sempre eletto per ogni legislatura, alternando i seggi di Alghero e Sassari come suoi depositi di voti. All'archivio della Camera sono conservati diversi suoi interventi, spesso tendenti a promuovere un qualche sviluppo per la Sardegna. Interessanti i dibattiti parlamentari a riguardo della costruzione della tratta ferroviaria tra Olbia (che all'epoca si chiamava Terranova) e Golfo Aranci. Opera che fu approvata ed è infatti datata 1883.
Portò avanti le istanze di zone della Sardegna che all'epoca erano ancora malariche e che necessitavano di bonifiche urgenti, così come, curiosamente, si spese nel ricordare che a Perfugas non c'era la stazione dei carabinieri o che a Benetutti sarebbe stata buona cosa creare delle terme. Terme che oggi esistono.
Nel 1910, invece, tornava a lamentare i collegamenti deficitari tra l'isola e il continente e fu promotore insieme ai colleghi Abozzi e Pala della necessità di avere una tratta tra Porto Torres e Genova a frequenza settimanale e non quindicinale.

Nel 1921, ormai molto anziano, dopo aver alienato i preziosi arredi Clemente di cui il palazzo era ricco, Giuseppe Giordano diede disposizione di vendere il suo gioiello al Banco di Napoli, avendoci abitato principalmente nei primi anni per poi usarlo sempre meno con l'aumentare degli impegni politici oltremare. Nel 1926 morì quasi novantenne a Roma, dove appunto visse buona parte della sua dorata vita. Dal momento della vendita, il maestoso immobile è sempre rimasto sede della banca, sebbene essa abbia cambiato nome un paio di volte.

Se qualcuno si stesse chiedendo che fine fece la piccola Marietta Giordano, rimasta orfana della mamma poco più che neonata, sappiamo che essa sposò un nobile a Roma quando aveva 21 anni, Giovanni Cavalletti. Compare all'archivio del Rifugio Gesù Bambino di Sassari intorno al 1910, dove leggiamo che una tal "marchesa Maria Cavalletti" faceva parte del comitato direttivo. Non abbiamo certezza fosse lei, ma è ben probabile. In tal caso abbiamo conferma che non perse i contatti con la città, forse abitandovi in modo sporadico e che, evidentemente, abbia forse risieduto nel palazzo costruito dal padre.

Oggi, verso i 150 anni dalla sua costruzione, possiamo trarre delle conclusioni sulle vicende legate al palazzo di piazza d'Italia, giudicando non benissimo le volontà moralmente poco lodevoli che nasconde, ma dobbiamo comunque riconoscere che la brama di potere e la voglia di ostentazione del barone Giordano abbiano però lasciato alla nostra città uno dei pochi tesori architettonici di cui dispone.


Il Barone Giuseppe Giordano Apostoli in tutta la sua classe e austerità. La foto è presente negli archivi storici del Parlamento italiano.

La tristemente meravigliosa tomba della sfortunata Enedina Sanna, maritata Giordano. La figlia del ricchissimo Giovanni Antonio Sanna, che riposa al cimitero del Verano in Roma, morì improvvisamente ad appena 23 anni, pochi giorni dopo aver partorito la sua prima figlia, Maria Giordano Sanna. Quest'ultima, erede diretta della discendenza Sanna, garantì al padre Giordano Apostoli il beneficiare di immense ricchezze. Nella statua, la figlia Maria fu ritratta più grande rispetto alla vera età al momento del lutto.


Ecco la sala principale del palazzo, la foto fu scattata pochi anni dopo l'acquisto da parte del Banco di Napoli che, per esigenze d'ufficio, modificò alcune zone dell'immobile. I vani più prestigiosi furono però mantenuti pressoché intatti. Si percepisce l'incredibile sfarzo dei saloni e l'atmosfera quasi surreale che vi si respirava.

Da questo semplice schemino si comprendono i rapporti di parentela di Giordano Apostoli.  Antonia e Maria (a destra) erano due delle varie sorelle. Enedina Sanna fu la moglie, sposata a Firenze nel 1871 e Donna Maria (sotto) fu, come detto, la figlia. (AraldicaSardegna)


Questo è il palazzo che il cugino e cognato di Giordano Apostoli, tal Giommaria Solinas Apostoli, marito di Ignazia Sanna, fece costruire a Rimini utilizzando, ovviamente, i soldi del suocero. Anche ad un occhio non esperto risulta evidente lo stile architettonico che verrà ripreso in toto da Giuseppe Giordano nella costruzione del suo palazzo in Piazza d'Italia, le maestranze furono infatti le medesime. Pare naturale pensare che i due cugini si fossero scambiati un favore: uno chiudeva gli occhi sulla costruzione del palazzo dell'altro. (foto scattata in loco da un amico)


La meravigliosa scala che conduce al secondo piano del palazzo e le volte decorate. (foto A. Piga)



*** Questa ricerca storica ha richiesto impegno e tempo. Per scopi divulgativi si può riprodurne in parte il testo, citando obbligatoriamente me ed il mio blog come fonte (anche qualora ne cambiassi le parole utilizzandone però le informazioni). Per scopi commerciali (libri, pubblicazioni etc.) è necessario chiedermi preventivamente anche il permesso. Grazie per la lettura. ***