Testo e ricerca storica di Marco Atzeni (documenti consultati all'Archivio di Stato)
Se siete in possesso di foto o info aggiuntive, scrivetemi a sassariantica@gmail.comL'immobile in piazza d'Italia, oggi al civico 32, ma all'epoca al numero 17, fu fatto costruire dal signor Proto Tola, un falegname che fece fortuna col commercio e l'edilizia. La ditta Tola aveva alle dipendenze diversi artigiani e in città forniva anche gli arredi del tribunale e delle scuole, oltre ai banchi del mercato della carne. Il suo momento di splendore fu fra gli anni '60 e '70 dell'800 e Tola poté considerarsi un vero uomo d'affari, diversificando poi gli interessi anche in altri campi. Un risultato notevole, anche alla luce del fatto che mastro Proto era illetterato, come si diceva all'epoca, e ogni contratto gli doveva essere letto, prima che lui ci mettesse una croce sotto, visto che non sapeva scrivere neppure il suo nome.
Il lotto di terreno sul quale fu eretto il palazzo rimase non sfruttato per diversi anni e fu intorno al 1875 che il Tola decise la costruzione dello stabile di pregio e per fargli spazio fu abbattuto uno spartano casolare la cui proprietà era sempre di signor Proto. Si tenga in considerazione che piazza d'Italia era rimasta a lungo un'area sterrata senza alcuna costruzione e l'impulso decisivo fu dato dai lavori per la costruzione del maestoso palazzo della Provincia, cui fecero da contorno gli altri eleganti fabbricati attorno alla piazza. Una volta ultimato l'immobile, signor Tola andò ad abitarlo con la famiglia, ma poté affacciarsi per pochi
anni alla sua balconata,
dato
che morì nel novembre del 1881. La scomparsa fu probabilmente inaspettata,
dato che, sebbene avesse compiuto 67 anni, ovvero la soglia dell'anzianità all'epoca, non aveva ancora predisposto
alcun testamento, scelta strana per chi come lui possedeva diverse
proprietà da lasciare in
eredità. Fu forse un malore improvviso a non dargli il tempo di adempiere in tal senso.
Ciò che sappiamo per certo è che a piangere signor Proto (e a dividersene gli averi) rimasero signora Paolina Iecle,
che era la moglie, e una squadra di otto figli, schierati alla perfezione in quattro maschi e quattro femmine, i quali - in ordine di nascita - erano: Maria, Rita, Antonio Andrea, Giovannico, Veronica, Speranza, Giuseppino e Antonio Vincenzo. Quest'ultimo era minore e fu necessaria una lunga trafila al tribunale per nominare zio Salvatore Garau quale curatore che ne preservasse gli interessi durante la spartizione della succosa eredità. Non lo si immagini però un bambino, visto che era un ventenne che già lavorava, ma pur diventando adulti in fretta, la maggiore età era all'epoca fissata a 21 anni. Gli otto figli di Proto e Paolina variavano molto per età e alcuni erano a loro volta imprenditori di discreto successo, in particolare il frizzante Antonio Andrea, commerciante con l'hobby delle speculazioni edilizie. Fu lui, forse ispirato proprio dal padre, ad erigere a debito e poi rivendere un paio di altri palazzi sempre nella zona attorno a piazza d'Italia e fu anche promotore di diverse iniziative teatrali, e per questo nelle simpatie di Enrico Costa. Le varie sorelle Tola, che ovviamente non lavoravano, si sposarono con uomini di famiglie benestanti, quali Murtula e Podestà, mentre donna Maria, la più grande, era persino divorziata, cosa rara in quel periodo.
Secondo il Codice Feliciano, che era la carta vigente all'epoca in cui Proto e Paolina contrassero matrimonio, alla vedova Tola sarebbe spettata
metà degli averi, però quest'ultima vi
rinunciò per lasciare tutto ai figli. L'inventario dei beni posseduti da Tola fu stilato dal notaio Leonardo Carta e conteneva, oltre alla lingeria, al mobilio, alle stoviglie e all'argenteria, tutte le merci e i crediti pendenti dell'azienda, un oliveto a Gioscari e un vigneto a Tissi, due case in via Manno (nella parte oggi chiamata via Bellieni), una casa bassa in via Gazometro e un'altra in via Turritana, soldi contanti per 13 mila lire e ovviamente il palazzo di piazza d'Italia, valutato 60 mila lire.
Riunita la famiglia nel salone al piano nobile, fu proprio signora Paolina, seduta sullo scranno e col fido notaio Carta che al suo fianco intingeva la penna nel calamaio, a stabilire (equamente, ma non troppo) che ai maschi rimanessero l'azienda e il denaro, mentre a tre figlie femmine, che supponeva venissero mantenute dai rispettivi mariti, andò il bene più esclusivo, proprio il palazzo di piazza d'Italia, ma col vincolo di non venderlo finché lei sarebbe rimasta ad abitarlo. Nell'ottica di signora Paolina, il valore del palazzo compensava il fatto che le figlie avrebbero dovuto attendere per averlo, mentre i maschi, essendo commercianti, dovevano avere lasciti a liquidità immediata. Gli averi restanti vennero frazionati più o meno in parti uguali, con calcoli al centesimo per tenere conto di chi, sposandosi, aveva già ricevuto qualche precedente aiuto.
Riunita la famiglia nel salone al piano nobile, fu proprio signora Paolina, seduta sullo scranno e col fido notaio Carta che al suo fianco intingeva la penna nel calamaio, a stabilire (equamente, ma non troppo) che ai maschi rimanessero l'azienda e il denaro, mentre a tre figlie femmine, che supponeva venissero mantenute dai rispettivi mariti, andò il bene più esclusivo, proprio il palazzo di piazza d'Italia, ma col vincolo di non venderlo finché lei sarebbe rimasta ad abitarlo. Nell'ottica di signora Paolina, il valore del palazzo compensava il fatto che le figlie avrebbero dovuto attendere per averlo, mentre i maschi, essendo commercianti, dovevano avere lasciti a liquidità immediata. Gli averi restanti vennero frazionati più o meno in parti uguali, con calcoli al centesimo per tenere conto di chi, sposandosi, aveva già ricevuto qualche precedente aiuto.
Le
tre eleganti sorelle
Tola - Maria, Speranza e Rita (la quarta sorella, Veronica, ereditò altro) - entrarono infatti pienamente
in possesso del palazzo
paterno
solo molti
anni dopo, quando
mamma Paolina
morì. Nel
1901 furono loro,
di comune accordo e
con l'arcaico
"permesso" dei mariti,
a
cederlo al
nobile
Achille De Vita, ottantenne
medico militare
in pensione arrivato
anni prima da
Cosenza. Il prezzo della compravendita fu tassativamente uguale al valore di 60 mila lire stabilito nella divisione testamentaria di 20 anni prima, così da non creare diverbi con gli altri fratelli Tola, che avrebbero contestato un aggiornamento di prezzo. Poiché l'immobile fu poi abitato per svariati decenni dai discendenti del cavalier De Vita (che tra l'altro morì l'anno dopo averlo comprato dalle Tola), i
sassaresi moderni hanno conosciuto lo stabile per l'appunto come "casa De Vita", attribuendo erroneamente a quella famiglia anche l'edificazione del palazzo.
Sebbene segnato dal tempo, palazzo Tola è ancora oggi uno dei più raffinati di Sassari ed il signor Proto aveva di che essere orgoglioso quando aprendo il portone alzava la testa per guardarne compiaciuto la facciata finemente decorata, fatta progettare all'ingegner Francesco Agnesa, il migliore nella Sassari del periodo ed ideatore, fra l'altro, della chiesa di San Giuseppe.
Sebbene segnato dal tempo, palazzo Tola è ancora oggi uno dei più raffinati di Sassari ed il signor Proto aveva di che essere orgoglioso quando aprendo il portone alzava la testa per guardarne compiaciuto la facciata finemente decorata, fatta progettare all'ingegner Francesco Agnesa, il migliore nella Sassari del periodo ed ideatore, fra l'altro, della chiesa di San Giuseppe.
Il signor Proto Tola in persona nell'elegante busto che lo raffigura al cimitero monumentale. Vicino a lui riposa il piccolo Paolino, figlio minore, morto a 10 mesi di età nel 1873.
In calce al contratto dell'ottobre 1863 per la fornitura dei banchi del mercato della carne appena costruito in città, Tola fu l'unico a siglare con una croce perché "illetterato" (Archivio Storico Comunale).
Frontespizio dell'atto notarile mediante il quale i figli di Proto Tola hanno regolarizzato la divisione dei beni paterni. Esso recita "Divisione beni con rinunzia dei diritti. Anno 1883, il giorno 9 di Febbraio in Sassari nella casa Tola in piazza d'Italia 17", che era il vecchio numero civico. A rinunziare ai diritti era la vedova. (su concessione del Ministero della Cultura - Archivio di Stato di Sassari: Atti notarili, Sassari copie, anno 1883, busta n. 51, atto. 589 del 1 marzo 1883)
*** Questa ricerca storica ha richiesto impegno e tempo. Per scopi divulgativi si può riprodurne in parte il testo, citando obbligatoriamente me ed il mio blog come fonte (anche qualora ne cambiassi le parole utilizzandone però le informazioni). Per scopi commerciali (libri, pubblicazioni etc.) è necessario chiedermi preventivamente anche il permesso. Grazie per la lettura. ***