domenica 5 luglio 2020

IL CASTELLO E I GENOVESI CHE VOLEVANO CAMBIARE SASSARI.

Ricerca e testo di Marco Atzeni - sassariantica@gmail.com
fonti storiche: documenti archivio comunale (personalmente consultati), Enrico Costa e Giovanni Siotto Pintòr;
con la collaborazione di Paola Battaglieri, Lisa Rau e del libro "Buttate giù quella chiesa".


Tra le varie dicerie che riguardano il vecchio castello di Sassari, una narra che il suo abbattimento scaturì dal volere degli abitanti circostanti, i quali pretendevano la vista sgombra all'orizzonte. La questione è pura fantasia, ma origina da un fatto realmente accaduto nel giugno 1842, quando i primi tre possessori dei lotti edificabili fuori le mura, che erano Gregorio Bargone, commerciante venuto dall'isola di Capraia (oggi in Toscana, ma all'epoca appartenente alla Liguria), Francesco Valdettaro, mercante arrivato da Genova, e Paolo Rau, mastro ferraio originario di Tempio, un mese dopo l'acquisto delle rispettive aree, rendendosi conto che le case sarebbero sorte addossate alla cinta del castello, si riunirono a cena e decisero di inoltrare preghiera (come si diceva allora) affinché il viceré acconsentisse all'abbattimento di una delle torri, quella della polveriera, dove si conservavano le munizioni dell'esercito. La richiesta, sensata ma bizzarra, fu bocciata, poiché non si sarebbe potuto avere un castello monco. I tre, dunque, eressero i loro palazzi, sicuri che un giorno gli sarebbe esploso il soggiorno e non fu certo il non vedere l'orizzonte l'origine della loro angoscia. La fortezza, si badi, all'epoca serviva un po' a tutto, compresi carcere e deposito e la sua posizione, a differenza di quanto viene da pensare, non era limitata a quella oggi occupata dalla caserma La Marmora, ma era l'area della piazza al completo, con l'ingresso che imboccava l'odierno largo Cavallotti, dove si trovava un ampio spiazzo che era chiamato il "pian di castello".

Bargone e Rau si misero il cuore in pace, mentre Valdettaro, per allontanarsi un poco, nel 1850 chiese che il Comune gli concedesse l'erezione di un altro palazzo; la cosa interessante è che propose che la costruzione sorgesse proprio in mezzo a piazza d'Italia perché l'idea da lui suggerita era che si edificasse una serie rettilinea e continua di palazzi a partire dai due portici di piazza castello fino a via Roma. Si badi che l'area della piazza all'epoca non era ancora come la conosciamo, si trattava di una landa deserta immersa nella polvere che per Francesco interrompeva la continuità della strada e sembrava quasi inutile perché Sassari finiva poche decine di metri dopo e campagne intorno da destinare a piazze ce n'erano ancora a profusione. I consiglieri ne dibatterono e qualcuno si schierò a favore della proposta che avrebbe potuto cambiare la faccia della città, ma la maggioranza confermò i progetti originari e per i decenni a seguire, con l'ingrandirsi dell'abitato, rimase quello lo spazio destinato a prezioso sfogo per la popolazione e con gli anni fu ingentilito e abbellito. Un paio d'anni dopo, nel 1853, si liberò spazio più giù, poiché fu demolita la chiesa di santa Caterina e si creò piazza Azuni, e per Valdettaro, che guardava la zona pregustando il soddisfacimento delle sue infinite voglie di abbattere e costruire, sembrò la volta buona. Al primo turno di offerte la migliore fu proprio la sua, ma Giobatta e Andrea Murtula (padre e figlio), liguri scaltri e ricchi come lui, superarono l'offerta in seconda seduta e gli soffiarono l'area da 380 mq, erigendo il palazzo color salmone da noi conosciuto per la gioielleria Sechi-Pieroni.

Signor Valdettaro nella vita era un affarista assai noto, fu consigliere comunale ed aveva creato un piccolo impero grazie ai traffici tra Sardegna e Liguria, investendo in qualsiasi cosa gli passasse sotto il naso; uno di quelli che la notte, prima di spegnere le candele, pensava a come il giorno seguente avrebbe potuto fare altri soldi. Lo ritroviamo coinvolto in commerci e progetti di ogni genere: pelli, olio, immobili e persino sanguisughe, sebbene sembri assurdo, duecento anni fa il business di queste ultime era attività redditizia poiché erano usate da ogni medico nella ferma convinzione che succhiassero via i mali dei pazienti. Per tal ragione, intorno al 1835 Valdettaro ed alcuni altri soci, anch'essi residenti a Sassari (ma ovviamente non sassaresi), furono al centro di una vera battaglia commerciale per accaparrarsi il lucroso monopolio delle sanguisughe da fornire agli ospedali genovesi, prelevandole dalle paludi sarde e rivendendole a prezzi astronomici. Da Cagliari dovette intervenire persino il governo sabaudo, per voce del viceré Montiglio, affinché i preziosi vermi avessero un costo calmierato, fissato a due lire ogni cento unità, e avendosi il timore che si sarebbero estinte e che non si sarebbe più potuto curare la gente, fu anche impedito pescare sanguisughe nei mesi di luglio, agosto e settembre e mai lo si poteva fare per esemplari di misura inferiore ad un "osso d'oliva ordinario", pena 8 giorni di carcere e la multa di due scudi.

Valdettaro entrò nella piccola storia di Sassari anche per una decisione presa di comune accordo con altri commercianti nel 1848. All'epoca esisteva il gremio dei mercanti che da sempre aveva preso parte alla discesa dei candelieri. A metà '800, però, il commercio in città si concentrava ormai esclusivamente nelle mani di imprenditori non sardi che non provavano particolare attaccamento per quella ricorrenza tutta sassarese, il disinteresse sfociò nella scelta di esimersi dai vari riti imposti e portò allo scioglimento della corporazione che non prese più parte alla festa. Decisione sancita da una lettera d'intenti inoltrata ufficialmente al magistrato civico e sottoscritta dai maggiori esponenti della borghesia forestiera tra i quali Tavolara, Queirolo, Costa, Quartino, Frazioli, Murtula, Ottonello e, appunto, signor Valdettaro (che nell'occasione si siglò Franco e non Francesco), tutti residenti nei più eleganti e nuovi palazzi della città.

Tornando alle questioni di piazza castello, alla fine, Francesco Valdettaro rimase ad abitare dov'era, la polveriera non esplose mai, mentre lui, invece, morì di colera nell'estate tragica del 1855 finendo probabilmente in una poco lussuosa fossa comune, lasciando una montagna di soldi agli eredi e non facendo in tempo a coronare il sogno di vedere abbattuto il castello, cosa che effettivamente avvenne, ma intorno al 1880, cioè 35 anni dopo la costruzione di casa sua e per motivi assai diversi. Per la legge del contrappasso, anche casa di Valdettaro venne a sua volta abbattuta, da quasi 50 anni è infatti la storica filiale del Banco di Sardegna, che fu progettata dall'architetto Augusto Battaglieri, recentemente scomparso a 91 anni, che poi si trasferì appositamente nel '69 da Genova, proprio la città d'origine di Valdettaro. Battaglieri rimase a Sassari per più di 30 anni perché il Banco di Sardegna lo assunse come suo architetto dipendente, fu infatti lui a curare la progettazione di buona parte delle filiali in giro per la Sardegna e l'Italia.

Gli altri due storici immobili, quelli di Bargone e Rau, diventarono anch'essi a loro modo famosi nei decenni a seguire. Gregorio Bargone, inutile dirlo, è saldamente nella storia della città in quanto sotto casa sua ci sono gli unici portici presenti a Sassari, insieme a quelli di fronte del professor Crispo e per i quali sudò sette camicie. Il palazzo del ferraio Paolo Rau, invece, rimase proprietà dei discendenti per quasi 150 anni. Col senno di poi fu di certo un ottimo investimento, visto che buonanima di Paolo Rau aveva acquistato l'area edificabile pagandola 122 lire, 18 soldi e 4 denari di moneta sarda e, considerato che nel 1842 le vie nuove fuori le mura erano ancora stradoni bianchi senza nome, il terreno veniva indicato negli atti come la zona ad angolo fuori da porta castello, che era la porta dalla quale si usciva per andare verso Cagliari e che oggi, se la cercate, non c'è più, giacché è stata abbattuta anch'essa e prendeva il nome dal fatto di trovarsi pochi metri a lato della fortezza, oggi all'incirca poco più avanti di via Luzzatti, all'altezza del grattacielo vecchio.


Casa Bargone è il primo portico a sinistra, casa Valdettaro è quella al posto della banca e la casa di Rau è il palazzo basso a fianco, in mezzo c'era il castello ad occupare la piazza in tutta la sua interezza.

Il frontespizio dei contratti di vendita dei rispettivi lotti in piazza castello acquistati nel 1842 da Francesco Valdettaro (indicato erroneamente dallo scrivano con una sola T nel cognome) e da Paolo Rau. Il lotto di Valdettaro, che era ricchissimo, era grande 680 mq, quello di Rau che era mastro ferraio e non commerciante, era più piccolino e pari a 314 mq. I terreni, come si legge, furono venduti nello stesso giorno, infatti, essendo andati assieme, entrambi hanno poi firmato vicendevolmente come testimoni nel contratto dell'altro. (documenti dell'Archivio storico comunale personalmente consultati).


In questa ricostruzione 3D, con la collaborazione di Massimo Porcheddu, si percepisce quale fosse la posizione del castello in relazione ai tre proprietari che chiesero l'abbattimento della torre della polveriera (che era quella in basso).


Il titolo della deliberazione con cui il 28 giugno 1850 il Consiglio comunale confermava il rigetto della domanda di Valdettaro a riguardo dell'edificazione al centro di piazza d'Italia. Il testo dice "Ricorsi presentati dal regio misuratore Agnesa e dal negoziante Valdettaro i quali facevano a rinnovarsi la domanda di annullamento della piazza" (documenti dell'Archivio storico comunale personalmente consultati).



*** Questa ricerca storica ha richiesto impegno e tempo. Per scopi divulgativi si può riprodurne in parte il testo, citando obbligatoriamente me ed il mio blog come fonte (anche qualora ne cambiassi le parole utilizzandone però le informazioni). Per scopi commerciali (libri, pubblicazioni etc.) è necessario chiedermi preventivamente anche il permesso. Grazie per la lettura. ***