domenica 22 settembre 2019

LA CASA FERACE A SASSARI, LA SUA STORIA AFFASCINANTE.

Ricerche, foto e testo di Marco Atzeni
Se siete in possesso di materiale o info aggiuntive, scrivetemi pure a sassariantica@gmail.com


In tanti conoscono questa foto anni ‘30, ma forse pochi sanno la storia dell’immobile ad angolo sulla destra.

Giovanni Ferace, nato in via Cetti nel 1885, faceva il calzolaio e gli affari gli girarono così bene che intorno al 1915 poté permettersi, proprio in viale Caprera, una delle dimore più eleganti, fatta progettare all'architetto Angelo Marogna, uno dei più richiesti della città. Tra i nobili e gli ingegneri di Cappuccini, vi era questo fiero artigiano con la terza elementare che viveva con la moglie florinese, Felicita, e le figlie Ietta e Mariuccia. Anche la bottega (ormai un avviato calzaturificio) fu trasferita dietro casa e collezionò medaglie alle esposizioni internazionali, l’esercito ne fu cliente e la specialità erano i sandali cuciti a mano.

Giovanni amava le scarpe e lasciò i bilanci ad altri, che forse ne approfittarono. A metà anni ‘30, complice anche la crisi del ‘29, le cose precipitarono e ci rimise ditta e casa. Così, a 50 anni, lasciò Cappuccini e ritornò in via Arborea, a casa della figlia Mariuccia (ora sposata), facendo scarpe su misura, come agli inizi. Fra i clienti anche Antonio Segni, di cui era amico. Vedovo e dopo aver perso proprio l’adorata figlia Mariuccia per tubercolosi, si spense nel ‘63 a Sarroch, a casa dell’altra figlia.

L’immobile di viale Caprera, invece, era passato da anni ad altre famiglie e signor Giovanni non ci mise più piede, ma dopo un secolo è bene tutelato e rimane per tutti “casa Ferace”, proprio in memoria del primo proprietario.

La vicenda mi è stata raccontata dal nipote, oggi 82 enne, che alla domanda se perdere tutto lo avesse segnato, mi risponde “Nonno era un uomo di mondo, i soldi gli interessavano, ma teneva alla famiglia, ciò che lo fece soffrire fu perdere la figlia e non la ditta!”.

NOTA: Signor Giovanni, il signore che mi ha raccontato la storia, e che portava il nome di suo nonno, si è spento nel gennaio del 2020. Condoglianze alla famiglia.


Giovanni Ferace, appena 26 enne, posa fiero con le sue medaglie nel 1911. La foto fu scattata nello studio fotografico Mannu, che si trovava in via Spano. Nella ricevuta, ancora conservata dalla famiglia, vi era scritto, al posto di Ferace, il cognome "Manca", questo rimane un piccolo mistero che nessuno ha saputo risolvere. Vi sono due versioni: potrebbe trattarsi molto banalmente di un errore del fotografo nel prendere l'appunto, oppure che il vero cognome di Ferace fu in realtà un altro, magari perché adottato, ma questa rimane soltanto una ipotesi molto vaga che si perde nei decenni.

Alcuni dei riconoscimenti vinti nel periodo d'oro dal "Premiato Calzaturificio Sassarese" di Giovanni Ferace, ancora conservati gelosamente dai suoi discendenti.

L'ultimo documento presente all'Archivio della Camera di Commercio di Sassari che attesta che Ferace lavorò sino al 1953, quando aveva 68 anni. Come si legge, era tornato a fare il calzolaio ed aveva una bottega al secondo piano della casa della figlia, in Via Arborea.

Giovanni Ferace posa col nipotino, che oggi è il simpatico ottantenne con cui ho parlato e che si chiama, anche lui, Giovanni, in onore proprio del nonno.

Giovanni Ferace posa poco più che adolescente con una bici davanti ad un dipinto, intorno al 1905. In realtà non è certo se fosse davvero un provetto ciclista o se la bici fu fornita solo per la posa artistica dello scatto.

mercoledì 11 settembre 2019

LA CASA DIROCCATA DI VIA MICHELE COPPINO. IL MISTERO RISOLTO.

Ricerche, testo e foto di Marco Atzeni (con la collaborazione di Cosimo Filigheddu per la parte relativa ad Angelo Misuraca)
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Col piano di espansione che portò alla nascita dei quartieri di Cappuccini e San Giuseppe, veniva predisposta anche una lottizzazione minore di una zona presso Santa Maria che prendeva il nome di “Fosso Fiorentino”, ricompresa tra le vie Coppino, Margherita di Savoia e Angioy.

Il lotto numero 7, ad angolo, fu acquistato nel 1909 da Bartolomeo Pesce, l’industriale sassarese che nel 1874 aveva fondato un glorioso pastificio in attività per quasi un secolo, e figlio del fabbro ligure Ambrogio. La scelta di quei 496mq fu per comodità: l’enorme pastificio sorgeva proprio di fronte e bisognava solo attraversare la strada per raggiungerlo (via Coppino all’epoca era un meraviglioso viale alberato senza traffico). Il costo del terreno fu di 1,50 lire al metro e poiché il Regolamento Comunale imponeva agli acquirenti di costruire entro due anni, si desume che la casa fu terminata tra il 1910-‘12.

L'ideatore fu l'ing. Silvio Sanna, assai noto in città, e la costruzione fu causa di un'accesa antipatia, durata anni, tra lui e un altro giovane ingegnere, all'epoca a capo dell'Ufficio Tecnico del Comune, il talentuoso Raffaello Oggiano, che in prima istanza rigettò il progetto presentato, sollevando vizi di forma della domanda, compresa l'elementare mancanza dei bolli. L'ing. Sanna integrò la pratica ma non la prese bene e scrisse una lettera al Sindaco, lamentando l'operato a suo dire esageratamente fiscale dell'Ingegnere Capo. Quando qualche anno dopo Oggiano verrà sostituito, si scoprirà che il Sanna fu tra coloro che fecero costanti pressioni sui politici affinché ciò avvenisse.

Bartolomeo Pesce ebbe una sola figlia, Luigina, che ereditò la casa, nella quale visse per qualche anno con suo marito, il signor Sotgiu, e i numerosi figli. A questo punto della storia le versioni differiscono: taluni sostengono che la casa non avesse vani a sufficienza per consentire alla famiglia Sotgiu-Pesce di viverci comodamente, altri, invece, dicono che vi furono necessità economiche che spinsero alla vendita dell'immobile che, in generale, era comunque poco usato dai proprietari.

A metà anni '30, l'immobile passò di mano, in quel periodo vi abitavano infatti Monsignor Ingolotti e l’architetto Angelo Misuraca con la moglie Eugenia Catanzaro Santini, quest’ultimo vi adibì anche il suo studio, in cui ideò, tra i tanti, i plessi scolastici di Piazza Marconi o i rioni di Porcellana. Proprio da qui, nel ‘43, Misuraca venne prelevato con l’accusa di apologia del fascismo e, tradotto nel carcere di Oristano, vi morì poco tempo dopo.

Oggi la casa è tristemente abbandonata per problematiche dovute a vincoli artistici e legali ed il futuro sembra far presagire una lenta fine per uno dei più particolari ed affascinanti edifici di Sassari.


A sinistra l’offerta di acquisto del lotto da parte di Pesce, a destra il successivo contratto d’acquisto stipulato tra il medesimo e il Comune di Sassari, proprietario del terreno (1909).

Ecco come apparivano la casa e via Coppino in una foto del 1920 circa.

Bartolomeo Pesce, il primo proprietario della casa di Via Coppino, acquirente del lotto sul quale essa è stata fabbricata. Pesce aveva fondato l’omonimo glorioso pastificio che aveva sede nell'enorme stabilimento sull'altro lato della strada, rimasto in attività per quasi un secolo (fonte: web).


*** Questa ricerca storica ha richiesto impegno e tempo. Per scopi divulgativi si può riprodurne in parte il testo, citando obbligatoriamente me ed il mio blog come fonte (anche qualora ne cambiassi le parole utilizzandone però le informazioni). Per scopi commerciali (libri, pubblicazioni etc.) è necessario chiedermi preventivamente anche il permesso. Grazie per la lettura. ***


martedì 10 settembre 2019

LE ORIGINI DEI PORTICI CRISPO E BARGONE IN PIAZZA CASTELLO A SASSARI.

Ricerche e testo di Marco Atzeni
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I PORTICI CRISPO E BARGONE IN PIAZZA CASTELLO A SASSARI.
Quando nel 1837 il Comune lottizzò le campagne verso via Roma per creare un nuovo esclusivo quartiere, il signor Gregorio Bargone, nato a Capraia nel 1803, vicino Livorno, acquistò il lotto 1, mentre il professor Antonio Crispo, osilese del 1805, acquistò il lotto 5 (che era di fronte).

Il primo era un commerciante possidente, mentre il secondo era medico ed insegnante universitario. Emerse però un problema perché il Comune impose ai residenti del nascente quartiere di costruire un elegante porticato sotto ogni casa. I baffuti Bargone e Crispo, essendo i primi, ne parlarono e si coalizzarono per lamentare l’assurdità di far erigere a spese loro dei portici di cui a beneficiare sarebbe stata tutta la comunità.

Nel 1849 si pronunciò il Consiglio che accettò di indennizzarli con una somma pari al valore dei metri quadri che sarebbero stati occupati dai rispettivi portici. I due costruirono quanto richiesto, anche se Bargone si incartò e lo fece in due tempi, dovendo poi rifare le arcate perché disallineate rispetto a Crispo e creando un’entrata più stretta dell’altra.

I portici rimasero gli unici della città perché il Comune fece poi cadere il bizzarro e impraticabile obbligo. Eretti quando c’era il Castello (e l’Italia non esisteva), hanno però consegnato all'immortalità i loro due originari proprietari, sotto la cui casa passa da più di 170 anni tutta Sassari.

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I PORTICI CRISPO E BARGONE IN PIAZZA CASTELLO A SASSARI.
“Congregato l’illustrissimo Consiglio Comunale, si riferì la supplica presentata dalli Sig.ri professor Antonio Crispo e negoziante Gregorio Bargone colla quale dimostrando le gravi spese che si richiedono nella costruzione dei portici, li quali servono più d’abbellimento alla città e a comodità del pubblico che in vantaggio dei proprietari costruttori, facevansi in conseguenza di ciò ad implorare di venire rimborsati del valore della striscia del terreno dei portici, compresa l’area dei pilastri, (…) fu così stabilito affermativamente con 19 voti contro 4 negativi” (maggio 1849)
I PORTICI CRISPO E BARGONE IN PIAZZA CASTELLO A SASSARI.
Le firme di “Greg” Bargone e Antonio Crispo in calce ai rispettivi contratti di acquisto dei lotti su cui saranno poi erette le case coi portici. Le altre firme sono del Sindaco, dei Consiglieri, del Segretario e dei vari testimoni. Il costo del terreno fu di 1,20 lire al metro quadro. (1846-50)


















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ANTONINO CRISPO, "L'UOMO DEI PORTICI" DI SASSARI. LA SUA STORIA.

Ricerche e testo di Marco Atzeni
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Antonio Crispo l'uomo dei portici di Sassari
Ho avuto il piacere di parlare con uno dei discendenti del professor Crispo, “l’uomo dei portici”.

Osilese del 1805, laureatosi in medicina e specializzatosi a Londra e Parigi, Antonio Crispo fu a Sassari dal 1835 e insegnò all’università parimenti all’attività di medico. Si innamorò di Rita Cappai, donna benestante il cui padre Salvatore fu medico dei Savoia. Nel 1846 “Antonino” acquistò gli 800 mq dietro il Castello sui quali eresse l’abitazione di famiglia dove i coniugi Crispo-Cappai crebbero i loro 7 figli. Uno di essi, Cesare, morirà tragicamente nell’esplosione della polveriera di Cagliari del 1868.

“Scrivi anche che mio trisnonno era un uomo simpatico con l’hobby dell’astronomia ed era (forse) l’unico a Sassari a possedere un telescopio che prese in Francia e di cui era assai geloso”, aggiunge il signore. Eletto Consigliere Comunale, fece in tempo a vedere, dalla finestra di casa, l’abbattimento del Castello (da una parte) e la costruzione di Piazza d’Italia (dall’altra) per poi spegnersi nel 1883, lasciandoci in eredità i suoi mitici portici, dai quali nelle notti stellate, per rilassarsi dopo il lavoro, guardava col suo amato telescopio francese il cielo sopra la Sassari di metà ‘800.

ll signore con cui parlo è pugliese, discende da uno dei figli di Crispo (Alberto) che si stabilì a Modugno a fine ‘800, mi confessa che nessuno di loro è mai stato a Sassari, quando ne parliamo c’è un filo di emozione. La foto mi è stata fornita da lui, si tratta di Crispo in persona, la condivido affinché abbia finalmente un volto e non solo... i portici!

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Antonio Crispo il necrologio del funerale a Sassari
Il necrologio originale diffuso dai figli il giorno della morte di Crispo nel 1883.

domenica 8 settembre 2019

VILLA CARIA, VILLA RAU E L'IMMOBILE DI VIA PASQUALE PAOLI. TRE STORIE SASSARESI.

Testo e foto di Marco Atzeni
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Iniziamo il nostro giro dallo storico quartiere di Cappuccini, alla fine di viale Caprera ci imbattiamo nella villa più imponente di Sassari, altissima e maestosa. Viene spontaneo chiedersi come fu possibile erigere una costruzione talmente sfarzosa ... semplice, grazie al formaggio!

I fratelli Caria, che la fecero ideare all’ingegner Sale nel ‘27, furono tra i geniali pionieri dell’esportazione del pecorino sardo negli Stati Uniti agli inizi del ‘900. Oggi la villa è un bene tutelato, così come il loro antico caseificio a Cossoine che fu la fonte di tanta agiatezza.

Pare che i Caria attraversarono un periodo complicato a partire dalla crisi globale del ‘29 e dovettero alienare la villa in tempi relativamente rapidi. L'immobile, infatti, è conosciuto col nome di coloro che acquistarono proprio dai Caria, ovvero la famiglia Pozzo, che la possedettero per diversi decenni, prima di cederla alla Regione Sardegna.

Spostandoci di pochi metri, nella parte alta di viale Mameli, ci imbattiamo nella villa fatta costruire negli anni ’30 dalla famiglia Rau, “quelli del mirto”, da loro ancora abitata e splendidamente conservata.

Il protagonista della storia è però un altro: Angelo Misuraca , il progettista, nacque a Roma nel 1893 e si trasferì a Sassari nel 1929.

Uomo di Mussolini e tesserato del partito della prima ora, divenne architetto di riferimento della dirigenza fascista a Sassari. Oltre a varie ville private, a lui fu affidato lo sviluppo urbanistico della zona tra viale Italia, via dei Mille e via Amendola. Costruì i due edifici in via Pascoli, dopo il Ponte Rosello, e ideò anche il plesso scolastico di Piazza Marconi.

Come ci racconta Pintus nel libro “L’architetto in camicia nera”, nel 1943, con Mussolini ormai in disgrazia, partì l’epurazione di coloro che gli furono fedeli e che, pare, cospirassero ancora in suo favore. Misuraca, tradotto nel carcere di Oristano, vi morì, a sorpresa, per gli stenti.

Anche l’elegante palazzina all’angolo di via Paoli, costruita a metà anni ’30 dall’impresa Bolognini, pare porti la firma di Misuraca.

Curiosamente, l’ingresso presenta due statue di donna seminude, questa scelta inusuale per un’abitazione privata, in particolar modo per la Sassari povera di quasi un secolo fa, unita allo stile globalmente sbarazzino dell’immobile, alimentò la sempre fervida fantasia dei sassaresi che per anni tramandarono la diceria che vi fosse una casa d’appuntamento d’alto bordo, anche perché all’epoca l’immobile sorgeva in una zona borghese, ma assai decentrata.

Non che fosse impossibile, ma in realtà coloro che la fecero costruire (e vi abitarono) furono i coniugi Gelmini-Caggiari.

Qualche decennio fa era invece chiamato “il palazzo a vapore” poiché un pertugio dava accesso ad un minuscolo magazzino dove un’anziana signora vendeva carbone, quasi come se servisse ad alimentare il palazzo. La povera signora era l’incubo dei bambini sassaresi, che pensavano fosse una strega.

LA CASERMA CIANCILLA IN VIA ROMA E LA VILLA ORLANDI A CAPPUCCINI. DUE STORIE SASSARESI.

Ricerche e foto di Marco Atzeni
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Lo stabile in via Roma, creato da Giovanni Maria Ticca e ultimato nel 1938, era la caserma voluta dal Partito Fascista per la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (le “camicie nere”). Quelle tre colonne a destra non sono altro, infatti, che il fascio littorio poi parzialmente decapitato al cui fianco campeggiava anche l’enorme sigla MVSN.

Nello specifico, a Sassari fu di stanza la 177ma Legione, chiamata la “Logudoro”, la cui fine fu però drammatica: quando nel ‘43 cadde il fascismo, i militi si ritrovarono improvvisamente senza comando e senza cibo e fu il viceparroco di San Giuseppe, tal Arghittu, a salvare loro la vita raccogliendo segretamente del cibo e ospitandoli in chiesa.

Finita la guerra, l’immobile passò all’Università ed oggi, forse, molti suoi studenti ignorano il passato della “Caserma Ciancilla”. L'aneddoto fu raccontato anche da Manlio Brigaglia alcuni anni fa.

Villa “Orlandi” prende il nome dall’ingegner Giuseppe che la fece costruire e vi abitò dal 1915. Nato a Sant’Ambrogio di Verona, Orlandi lavorò negli anni ‘20 alla realizzazione del nuovo bacino del Bunnari e fu al contempo l’assessore alle Opere Pubbliche.

Poiché la villa sorgeva in uno dei punti all’epoca più “salubri” e panoramici della città (la sua vista sul mare era sgombra), Orlandi fece incidere in facciata un’enorme frase in latino, copiata da una casa in Piazza di Spagna, che pochi notano: “purior hic aer late hic prospectus in arva” il cui senso è “aria più pura qui che si vede la zona dall’alto”. Non sappiamo se lo fece con un pizzico di vanità o per innocente orgoglio, ma la scritta, passandoci davanti ad un secolo di distanza, è ancora perfettamente leggibile. Se l’aria sia ancora pura, invece, non si sa…

Dal dopoguerra la bella villa fu abitata dal professor Naseddu e negli anni '2000 dal notaio Scanu, il quale apportò una serie di lavori di ristrutturazione che la rendono, ad oggi, una delle poche ville storiche di Sassari in perfette condizioni.
Una parta della scritta che campeggia sulla facciata della villa, proprio sotto il tetto.

VILLA MIMOSA A SASSARI, LA SUA STORIA AFFASCINANTE.

Ricerche, testo e foto di Marco Atzeni
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Negli anni ‘20, villa “La Mimosa” fu celebre per le feste organizzate dalla frizzante Josephine Racca, la padrona di casa, una giovane e benestante argentina moglie del nobile Gaspare di Sant’Elia, vent’anni più grande.

La villa era circondata da un giardino di alcuni ettari che inglobava anche l’odierna via Napoli e le feste, spesso in costume sardo, riunivano personalità importanti.

Morto il marito nel ‘34, Josephine cessò le feste, anche perché sarebbe stato malcostume organizzarle da vedova, ma si trasferì ancora giovane a Viareggio dove, nella villa dei genitori che fece decorare anche a Biasi, riprese la cara abitudine di riunire i notabili della città a casa sua. Frattanto, si era risposata.

Tornerà a Sassari molto dopo, dove vivrà fino a 97 anni e oggi riposa al cimitero monumentale.

Con grande piacere, sono venuto in contattato con il nipote di Josephine che mi ha raccontato anche una bella storia; le sue parole “la villa ha un inizio romantico: quando mia nonna e mio nonno si conobbero, lei era una studentessa mandata a studiare a Torino e lui ufficiale dei carabinieri. Quando lei dovette tornare a casa, lui l’accompagnò al treno per Genova (in Argentina si andava in nave) e le portò un grande mazzo di mimose. Da sposati, quando mia nonna fece costruire la villa a Sassari, la chiamò “Mimosa” in ricordo dell’episodio." Josephine, aggiunge un altro testimone, fece di tutto per tenere vive le mimose durante il lungo viaggio oltre oceano, mobilitando decine di marinai per tenere fresco l'enorme mazzo il più possibile.

Josephine, da buona argentina, amava i cavalli alla follia e ne aveva numerosi nelle scuderie del parco che all'epoca arrivava quasi sino all'odierna via Napoli. La foto me l’ha fornita lui in esclusiva per il blog e lo ringrazio.


La foto fu scattata durante una festa in costume in onore di un componente della famiglia reale che è il giovane uomo al centro. Josephine è la donna in abito elegante alla sinistra dell'ospite, mentre appena più in basso in elegantissimo frac è il nobile Gaspare Arborio Mella di Sant'Elia, il marito di Josephine e proprietario della villa, quest'ultimo morirà pochi anni dopo essendo più grande di diversi anni della moglie argentina. (foto concessa in esclusiva dalla famiglia Arborio Mella e ricolorata al computer).


*** Questa ricerca storica ha richiesto impegno e tempo. Per scopi divulgativi si può riprodurne in parte il testo, citando obbligatoriamente me ed il mio blog come fonte (anche qualora ne cambiassi le parole utilizzandone però le informazioni). Per scopi commerciali (libri, pubblicazioni etc.) è necessario chiedermi preventivamente anche il permesso. Grazie per la lettura. ***


LA STORIA DIETRO IL COSTUME INDOSSATO DALLA REGINA ALLA CAVALCATA SARDA DEL 1939.

Ricerca e testo di Marco Atzeni
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Quando si stabilì che la Principessa avrebbe presenziato alla Cavalcata del 1939 portando il costume di Sennori, ci si accorse che non vi era il tempo per confezionarne uno nuovo. Allora si cercò con ansia qualcuna tra le benestanti di Sennori che ne avesse uno da offrire e che fosse adatto per pregio e taglia; si arrivò alla giovane Grazietta Piras Denti, di famiglia di possidenti ben inseriti. Alla donna, però, dispiaceva privarsi del suo costume perché averne uno molto costoso era per poche elette. Vista l’urgenza, si accettò allora una sua richiesta scritta di rimborso spese per potersene poi rifare uno nuovo nel caso l'abito fosse sparito, non più restituito o rovinato. Così, il grande giorno, la Principessa fu vestita dalla padrona del costume (e sue parenti) e alla Cavalcata incantò tutti, ma nessuno seppe mai di Grazietta e delle trattative segrete per convincerla a “offrire” il suo gioiello. Il rimborso non fu però poi necessario, perché da testimonianze di chi conobbe la signora, risulta che l'abito le venne restituito con annessa una spilla originale della casa reale, anche il marito, che si chiamava Giovanni, ricevette un compenso: un paio di gemelli ed una catena, sebbene il suo abito non venne utilizzato dal principe Umberto. Grazietta, inutile dirlo, raccontò per il resto della sua vita l'avvenimento e mostrava con orgoglio e piacere i doni reali conservati per decenni nella sua abitazione.


La richiesta di rimborso (preventivo) firmato da Grazietta Piras Denti, con tanto di saluti "fascisti". Nel documento compare anche la voce relativa ad un costume maschile che però non fu mai realizzato.

Non si sa bene il perché e le opinioni, a tal riguardo, non sono omogenee. Pare, però, che il Principe Umberto, da protocollo, dovesse sempre vestire la divisa e mai altri tipi di abito, alcuni sostengono che l'abito gli venne confezionare comunque, come regalo, altri ancora sostengono invece che non fu possibile, perché il Principe aveva una taglia totalmente diversa rispetto a quella del marito di Grazietta Piras Denti.

VILLA SISINI IN VIALE SAN FRANCESCO A SASSARI, LA SUA STORIA.

Ricerche, foto e testi di Marco Atzeni (con la collaborazione di una nipote e di G. Zichi autore del libro "Sisini" da cui sono tratte le foto dategli dalla famiglia)
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La bella villa liberty di viale San Francesco all'angolo con via monsignor Marongiu fu ideata dall'ingegner Marogna ed il proprietario fu Pietrino Sisini che era uno degli otto figli della ricca famiglia Sisini di Sorso. Pietrino scelse l'ingegner Marogna non a caso, visto che era suo parente di parte materna; il papà di Pietro, che si chiamava Andrea, il cui busto troneggia ancora oggi al cimitero di Sorso, aveva infatti sposato in seconde nozze Nicoletta Marogna, figlia di un notaio.

Pietro Sisini era il fratello di Francesco Sisini che fu uno dei grandi imprenditori della Sassari di inizio '900 ed era anche lo zio di Giorgio Sisini che, incredibile a dirsi, inventò la “Settimana Enigmistica” nel 1932.

Pietrino, all'anagrafe Pietro Paolo, dopo aver sposato Aurelia Frassetto di Sennori, fece erigere la villa nel 1913 sul lotto comprato come “dote” per la figlia dal suocero Antonio Frassetto che dal 1885 possedeva anche altri 2000mq a fianco, proprio all'uscita di porta Rosello, cioè all'inizio di viale San Francesco (il cui nome originario era viale Cappuccini). Antonio Frassetto era un imprenditore piuttosto benestante che amava accontentare le figlie, dall'altro lato della strada, infatti, all'angolo tra viale Caprera e viale San Francesco, comprò il terreno per costruirvi casa anche la sorella di Aurelia, Amelia Frassetto, col marito Guiscardo Tavolara, presumibilmente sempre con un qualche intervento ed i soldini di buon anima di papà Antonio Frassetto; anche questi ultimi eressero una meravigliosa villa liberty, che oggi a differenza della villa Sisini non esiste più. All'epoca, del resto, era comune che componenti della stessa famiglia cercassero di rimanere vicini, che due sorelle avessero entrambe una villa era di certo meno comune.

Pietrino Sisini si laureò in farmacia nel 1888, “quando le medicine si preparavano a mano”, come mi disse la nipote, scrisse in gioventù sui giornali locali ed era un uomo affabile. La coppia Sisini-Frassetto ebbe tre figli, due maschi ed una femmina, uno dei tre, però, morì a 10 anni e Pietro, molto segnato, per il dolore decise, ogni qual volta era richiesta una cravatta, di indossarla nera. Interessante a sapersi, dagli annali storici di metà anni '30, emerge che Pietrino Sisini era catalogato tra i migliori farmacisti d'Italia poiché, proprio in società col figlio, realizzava e commercializzava un cosiddetto "antigameto" contro la malaria. Come ebbe a riferirmi il figlioccio di Cresima, il figlio di Pietro, con lui in società, si chiamava Aldo e sposò la signora Maria Teresa che in tanti a Sassari conobbero come raffinata maestra di pianoforte, quest'ultima si chiamava Serra, ma per tutti era maestra Sisini, dal nome del marito.

Dopo aver fatto chiudere la torretta, che prima era a balcone per poter godere della vista libera sino a Porto Torres, nella villa vissero assieme Pietro e Aurelia, il figlio Aldo con la moglie (loro non ebbero prole), la figlia col marito (e i figli di questi finché furono piccoli). Anziano e vedovo, in estate Pietrino passeggiava sino a piazza Tola, poi il pomeriggio sedeva sul muretto fuori la villa a salutare i passanti, scherzando con quelli più giovani di lui che si lamentavano per il caldo mentre arrancavano risalendo viale san Francesco e a cui diceva "... e io che ho novant'anni cosa dovrei fare allora!?".

Morì quasi centenario nel 1963, ma la sua villa è ancora con noi.

Nello scatto di famiglia del ‘52, Pietro è il signore anziano a sinistra (con la sua cravatta nera). Il bell’uomo in piedi coi baffi è Giorgio Sisini, l’inventore della “Settimana Enigmistica”, figlio, come detto, del fratello di Pietrino, seduto al suo fianco (Francesco). Il signore con occhiali in piedi al lato sinistro è il figlio di Pietro, Aldo Sisini, al cui fianco si intravede la moglie e maestra di pianoforte. La giovane all'estrema sinistra in altro è signora Aurelia, che porta il nome della nonna moglie di Pietro e con cui ho avuto il piacere di parlare. La signora si chiama Castiglia perché la figlia femmina di Pietro e Aurelia ha sposato il professor Castiglia.

Villa Sisini così come appariva negli anni '20, quando era possibile ammirarla da viale Umberto; dato che le cosiddette "Case dei mutilati" vennero erette un paio di decenni dopo, nessuna costruzione si frapponeva verso viale San Francesco. La torretta, si noti, era ancora aperta. Più tardi verrà chiusa quando il nucleo familiare degli abitanti si allargò e si eseguirono alcuni lavori di ampliamento delle volumetrie nella parte posteriore.


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GIACOMO LUIGI DELIPERI, L'UOMO CHE RUBO' IL PANORAMA DI CAPPUCCINI.

Ricerche, testo e foto di Marco Atzeni
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L'imponente immobile all’apice di viale San Francesco fu fatto erigere a partire dal 1914 dal signor Giacomo Luigi Deliperi su progetto di Raffaello Oggiano e la costruzione fu più volte interrotta da una curiosa diatriba politica. All’epoca i sassaresi, non avendo il televisore, durante i pomeriggi estivi erano soliti ritrovarsi al piazzale dei Cappuccini a chiacchierare guardando l’orizzonte e quando seppero che era stato acquistato quel terreno edificabile di fronte, protestarono per paura di perdere metri preziosi dell’amato panorama.

Il Comune cercò un disperato compromesso: impose che venisse tolto il secondo piano dal progetto della casa e offrì a Deliperi la restituzione di metà della somma pagata per il lotto. La lite proseguì per mesi e alla fine fu proprio signor Giacomo a spuntarla, ma come questo accadde, purtroppo, rimarrà un mistero.

Tra l'altro, nell’ampio terreno di fianco al palazzo, lungo lo stesso viale, Deliperi possedeva anche un enorme spiazzo per i carri e i cavalli utilizzati da una sua società che almeno per un paio d’anni, intorno al ‘15, ebbe l’appalto della nettezza urbana. Il deposito si estendeva per diverse decine di metri quadri e scendeva fino allo sbocco di viale Mameli. Ad oggi del deposito risulta esistente solo una porzione, ovvero un moncone di recinzione in muratura ed una piccola palazzina originariamente casa del custode (nella foto è a sinistra e se ne vede un pezzettino).
Già dagli anni '20, dopo la morte di Giacomo e lo scioglimento della società, il deposito venne alterato e la palazzina del custode divenne residenza per parte dei discendenti di Deliperi.

Signor Giacomo era un uomo semplice nato nel 1842, le cui origini affondavano nella terra, quella che già da giovane zappava nei poderi della famiglia Zanfarino, la stessa del "noto" Maurizio, ma essendo un grande lavoratore, dopo poco tempo divenne il fattore per tutte le proprietà. Proprietà in orti che andavano sulla Sassari-Porto Torres fino oltre la bretella di Latte-Dolce, insieme ad ettari di oliveti. Si innamorò della figlia del padrone e i due si sposarono. Da quello che si racconta non fu affatto un cercatore di dote, ma continuò a lavorare come un mulo aumentando anche di molto il patrimonio di partenza.

La statistica sicuramente non era in cima ai suoi pensieri, ma è curioso notare che le probabilità di avere 9 figli - di cui ben 7 femmine - sono davvero poche, eppure, lui e la resistente signora Maria Zanfarino, con lodevole impegno, riuscirono nella combinazione. Senza contare alcuni casi di morti premature.

Giacomo stravedeva per il suo piccolo esercito in rosa e la sua palazzina, tra affreschi, stucchi, arredi di classe e dipinti, fu fatta costruire per cercare di dare un futuro nido più o meno a tutti. Alla fine, tra le figlie, 4 troveranno marito, mentre 3 rimarranno per sempre signorine. Furono queste ultime, artiste dagli abiti delicati, a fare erigere una cappella privata all'interno dell’immobile.

Forse per le maledizioni di qualche sassarese che prese poco bene la vicenda del panorama, destino volle che il buon Giacomo Luigi potesse godere del suo nuovo palazzo per poco tempo. La febbre spagnola se lo portò via nel 1918, quasi 80enne, e dunque, nella migliore delle ipotesi, scomparve non più di un paio d’anni dopo l'ultimazione dei lavori. Magari non fece in tempo a vederli completati.

Anni dopo, quando tutto era dimenticato, fu proprio il progettista Oggiano a dare una versione dei fatti che potrebbe concludere la storia: ai consiglieri comunali non interessò poi tanto difendere il panorama di Cappuccini, ma bensì mettere i bastoni tra le ruote ai suoi lavori che pare fossero osteggiati da altri ingegneri che avevano forti collegamenti con la politica dell’epoca... con buona pace della buonanima di signor Giacomo che rischiò di farne le spese senza colpe!


La famiglia Deliperi al gran completo! Il mitico Giacomo Luigi posa al centro con la moglie, la signora Maria Zanfarino, attorno le 7 figlie, i cui nomi sono poesia ottocentesca allo stato puro. Da sinistra in altro: Tea e Toninetta. Sempre da sinistra nella fila al centro: Gesuina e Peppina. In basso: Remedia Leontina, Angioletta, Malvina e Gavino, quest'ultimo avrà una vita finita tragicamente (mancherebbe il primo figlio maschio, tal Ausonio). I due baffuti in piedi sono invece i mariti di due figlie all'epoca già sposate, Antonino Pinna e Salvatore Noce Mura. La foto fu scattata in una tiepida mattina dei primi del '900 quando la casa non era ancora stata costruita.


“(…) nel frattempo la Giunta rilevava che con le costruzioni che il Deliperi si proponeva fare nel detto lotto si sarebbe coperta una parte dello splendido panorama che si gode dal Piazzale dei Cappuccini, luogo molto frequentato, specialmente nella bella stagione da gran parte della cittadinanza, e che perciò stabiliva di imporre al Deliperi la condizione di limitare la costruzione al solo piano terreno, condizione che il Deliperi non volle accettare perché lesiva dei suoi interessi e posteriore alla concessione avuta del detto lotto fattagli pienamente e senza limitazioni di sorta” (Ss febbraio 1913, Arch. St. Comunale)


Ecco come appariva il piazzale di Cappuccini nei primi anni del '900. Casa Deliperi fu eretta esattamente a sinistra (appena fuori dall'inquadratura della foto). I Sassaresi guardavano il panorama affacciandosi da quel muretto in alto e il palazzo si ritrovò esattamente in linea d'aria, a pochi metri di distanza.


La lapide al cimitero monumentale dove sono conservate le spoglie di Giacomo Luigi Deliperi. Quasi tutte le lettere ed i numeri sono caduti. Insieme a lui è sepolta anche la moglie, ma della povera signora Zanfarino non sono rimasti nemmeno una lettera o un numero a parlarci di lei. La lapide, con i consueti toni che volevano gli uomini indefessi lavoratori (cosa non tanto falsa nel caso specifico), recita solennemente "GIACOMO LUIGI DELIPERI - GLI FU PADRE IL LAVORO, GLI FU MAESTRO IL DOVERE".


Uno dei contratti stipulati tra Giacomo Luigi Deliperi ed il Comune di Sassari relativamente al servizio per il ritiro della nettezza urbana. L'estratto dice "Il sig. Deliperi Giacomo Luigi dichiara e si impegna di assumere la continuazione dell'appalto del servizio della nettezza pubblica (...) per un altro anno ancora, e cioè dal primo luglio venturo fino al trenta giugno 1915". Deliperi veniva pagato 28 mila lire annue, corrisposte a "mesate scadute". (Arch. St. Com.)


Il frontespizio della cartella che contiene i progetti originali della casa di Giacomo Luigi Deliperi. La casa fu ideata dall'ingegner Raffaello Oggiano e i lavori iniziarono nel 1914-15. (Arch. Sto. Univ.)


I progetti (sempre a firma Oggiano) relativi al deposito dei carri e cavalli della società della nettezza urbana del Deliperi che aveva sede proprio a fianco a casa sua. Come si evince, il deposito presentava una metratura vastissima, recintato da un elegante muro con due piccoli immobili agli estremi (disegno al centro) ed occupava quasi metà di viale San Francesco. Ad oggi esiste soltanto il lato destro del progetto (che ho evidenziato in rosso). (Arch. Sto. Univ.)


*** Questa ricerca storica ha richiesto impegno e tempo. Per scopi divulgativi si può riprodurne in parte il testo, citando obbligatoriamente me ed il mio blog come fonte (anche qualora ne cambiassi le parole utilizzandone però le informazioni). Per scopi commerciali (libri, pubblicazioni etc.) è necessario chiedermi preventivamente anche il permesso. Grazie per la lettura. ***