domenica 9 ottobre 2022

IL PALAZZO DI PIAZZA D'ARMI 22 A SASSARI E L'ORRIBILE TRAGEDIA DEL SETTEMBRE 1890.

Testo e ricerca storica di Marco Atzeni (fonti documentali: Archivio Storico Comunale, Archivio di Stato, Biblioteca Comunale, Stato Civile).

Palazzo Antonio Manconi in piazza d'Armi a Sassari

Esiste una suggestiva foto d'inizio '900 che immortala dall'alto l'allora piazza d'Armi nel giorno di una parata militare. L'osservatore viene colpito dall'area immensa in primo piano e dalla villa Mimosa in costruzione sullo sfondo (all'angolo sinistro). Pochi notano un particolare che ha tanto da raccontare: il palazzo sul lato destro, fatto edificare dal sassarese Antonio Alberto Manconi una ventina d'anni prima rispetto allo scattoSignor Antonio, noto come "l'orefice", aveva fatto fortuna col commercio di gioielli e orologi e, grazie alla mania per il risparmio, era divenuto uno dei più noti possidenti di Sassari.

Nel 1888, quando fu terminato il suo palazzo di piazza d'Armi, Manconi s’avviava verso i 60 anni. Ci si trasferì con la graziosa Adelina Diana, una scaltra signorina dedita al cucito e assai più giovane di lui. Si tenga in considerazione che il Manconi s'era sposato con la signora Maria Mura che però morì a 49 anni nel 1886, lasciandolo vedovo proprio agli albori della costruzione della nuova casa. La relazione tra Antonio Manconi e l'amante Adelina era forse precedente alla morte della di lui moglie, ma venne alla luce dopo la vedovanza. Tra l'altro, il matrimonio non lo aveva reso padre, mentre, a complicare le cose, da una vecchia relazione con tal Mariangela Pintus, il Manconi aveva avuto due figlie illegittime, Carmina e Annetta, ora divenute donne, che lui riconobbe e alle quali, sebbene senza eccessi, non faceva mancare il sostentamento, avendole anche messe a gratuita dimora in una sua proprietà di via Maddalenedda. La convivente Adelina, dal canto suo, visto che l'uomo non aveva più una consorte, voleva a tutti i costi esser da lui sposata, ma il baffuto Antonio non aveva intenzione né di portarla all'altare né di renderla unica erede dell'ambito patrimonio, anzi iniziava a stufarsi della petulanza della giovane. Adelina non demordeva e la convivenza al palazzo sortì l'effetto di tendere il rapporto.

Quando Manconi rientrava nella sua nuova casa, si teneva la testa tra le mani. Già occupato dalla gestione delle proprietà, si trovava anche a pensare a quell'amante pressante che lui non desiderava più, a una famiglia illegittima da continuare a foraggiare e alla recente vedovanza, il tutto con l'angoscia per la mancanza d'un erede maschio cui delegare gli affari. La lava ribollì per un altro paio d'anni, finché il 26 Settembre 1890 una notizia ferale congelò Sassari. Al piano nobile di casa Manconi, Adelina e signor Antonio erano morti. Un colpo di fucile per entrambi. La trentasettenne colpita al petto, lui alla testa. L'ispettore, il procuratore del re e il giudice istruttore si fecero largo tra i curiosi che sostavano davanti al portone in piazza d'Armi e non fu difficile ricostruire l'accaduto, anche perché la domestica algherese aveva assistito inorridita alla scena. Era mezzogiorno e trenta e Antonio Manconi era tornato a casa per pranzo, scuro in volto, aveva avuto un ennesimo diverbio con Adelina e in corridoio aveva freddato la poveretta con la carabina Remington. Chiusosi in camera e seduto sul letto, s'era poi poggiato alla fronte la canna ancora calda. Palazzo Manconi era già diventato un immobile maledetto.

Nessuno si capacitava di quella violenza sproporzionata, Antonio avrebbe potuto limitarsi ad allontanare l'Adelina, non dovendole nulla. Di certo, non fu un raptus. Nel cuore di quella mattina disgraziata, infatti, lui era andato in via Maddalenedda dalle due figlie illegittime. Lasciò loro una busta contenente una somma di denaro e un foglio in cui le designava usufruttuarie perenni della casa in cui abitavano, così nessuno le avrebbe potute cacciare. Poi si voltò dicendo "Babbo parte per un lungo viaggio". Pur essendo uno degli uomini più rispettati di Sassari, la chiesa negò il funerale alla bara dell'omicida-suicida, invece Adelina ricevette la cerimonia, alla quale parteciparono straziati i genitori e le sorelle, sebbene le lingue lunghe continuarono a criticarla anche da morta. Il clamore cittadino per la vicenda portò persino alla stampa di un libello edito dalla Dessì, oggi introvabile, intitolato indelicatamente "La passione ingannosa. Morte di Manconi Antonio e concubina".

Il notaio Proto Tola, coadiuvato da un geometra e un capomastro, ebbe l'impegnativo compito di stimare il patrimonio lasciato da Manconi. Emerse che le sue proprietà erano addirittura 29! Tra le tante, aveva case in via Lamarmora, via Turritana, largo Monache Cappuccine, via delle Finanze, vicolo Viola, via Munizione Vecchia, via Università, vicolo delle Canne, via delle Muraglie, via sant'Apollinare, via Gran Condotto e persino a Porto Torres. A Manconi interessava collezionare fabbricati di fascia media e il valore complessivo dell'asse da ereditare fu calcolato in circa 180mila lire. Poiché non v'era traccia di testamento, essendo vedovo e non avendo figli legittimi, zio Antonio col suo gesto assurdo beneficiò involontariamente un paio di nipoti e le tre sorelle, ma soprattutto fece la fortuna del fratello Francesco Manconi, un tizio strano con il quale non andava neppure d'accordo e che navigava paradossalmente tra i debiti tirando innanzi con la gestione d'una bettola. Fu proprio quest'ultimo a ereditare il palazzo di piazza d'Armi, che venne da lui monetizzato immediatamente vendendolo a prezzo stracciato a una giovane parente, Edvige Righi Manconi, che mantenne per sempre la proprietà dell'immobile, sebbene non venne mai tramandata l'orribile storia ch'ebbe luogo in quelle stanze.

Nel dopoguerra, casa Manconi è stata sopraelevata ed è quasi irriconoscibile rispetto alle origini, oltre a non essere più circondata dalla campagna. Eppure, se ci si ferma all'odierno 22 di piazza d'Armi, ci si troverà ancora davanti al portone varcato da Antonio e Adelina. Sopra ci sono due metalliche lettere arzigogolate vecchie 130 anni, sono "AM" di Antonio Manconi, il possidente che perse il senno, la cui tragedia dai toni seppiati e fino a oggi dimenticata ci insegna che il vuoto d'un animo insoddisfatto non potrà mai essere colmato dal numero di case che si possiede.

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Il portone di casa Manconi come si presenta oggi. Nonostante siano stati sostituiti gli originali battenti in legno, sono state però conservate le iniziali ottocentesche di Antonio Manconi. L'odierno civico è il numero 22 di piazza d'Armi.

Il progetto originale con il quale Antonio Manconi chiese il permesso per l'edificazione del palazzo in piazza d'Armi. La data del documento è il 25 giugno 1887. Manconi era già proprietario del terreno sul quale insistevano delle preesistenti costruzioni più piccole che fece abbattere. (fonte: Archivio Storico Comune Sassari)

L'estratto del trafiletto pubblicato sul quotidiano "La Sardegna" il giorno seguente alla tragedia (fonte: Biblioteca Comunale).

I nomi dei protagonisti compaiono freddamente affiancati nell'albo delle morti sassaresi dell'anno 1890. Fu il giudice istruttore a denunciare i due decessi agli uffici comunali, ma nei registri ovviamente non si fa menzione di quale fu l'orribile dinamica, cioè che l'uno aveva ucciso l'altra e poi se stesso.

Sulla destra, palazzo Manconi ormai irriconoscibile. Quando fu edificato si affacciava direttamente sulla piazza d'Armi all'epoca sgombra dai numerosi plessi scolastici oggi esistenti, e per tal motivo a fine '800 lo si poteva vedere dal lato opposto anche da decine di metri di distanza.




*** Questa ricerca storica ha richiesto tanto impegno e tempo. Per scopi divulgativi si può riprodurne in parte il testo, citando obbligatoriamente me ed il mio blog come fonte (anche qualora ne cambiassi le parole utilizzandone però le informazioni). Per scopi commerciali (libri, pubblicazioni etc.) è necessario chiedermi preventivamente il permesso a sassariantica@gmail.com - Grazie per la lettura. ***