domenica 26 aprile 2020

FRATI, NOTABILI, FANTASMI E CAVALLI IN VIA DEGLI SCOLOPI A SASSARI.

Testo e ricerca di Marco Atzeni (con la collaborazione di Enrico Costa)
Se siete in possesso di foto o info aggiuntive, scrivetemi pure a sassariantica@gmail.com


Vista del corso Vittorio Emanuele all'altezza del
teatro Civico. La viuzza che sbuca da sinistra è oggi
la via Sebastiano Satta, già via degli Scolopi.
Passeggiando lungo il corso Vittorio Emanuele, una volta arrivati all'altezza del teatro Civico, possiamo imboccare un traversina lunga meno di cento metri che fiancheggia proprio il lato del teatro stesso e che conosciamo come via Sebastiano Satta. Originariamente il nome non era certo questo, visto che il poeta nuorese morì soltanto nel 1914, mentre quella via esiste letteralmente da sempre. Il primo toponimo con cui i sassaresi la conobbero fu "contrada dell'argenteria", dato che vi trovavamo le botteghe di chi lavorava l'oro e l'argento. Parliamo di tempi lontani e lì nel 1780 ci saremmo imbattuti anche in un signore piemontese che si chiamava Michele Rovello, un tizio antipatico dal passato burrascoso che faceva il capellaro, cioè colui che per campare pagava le ciocche che le signore si tagliavano per poi rivenderle alle fabbriche di parrucche. Tra l'altro, a casa sua, diedero poi fuoco.

Nel 1837 il nome della via diventava "via degli Scolopi" ed il suo stato era pietoso, come quello di tutte le contrade della zona; irregolari, polverose e piene di fossi. Gli Scolopi erano dei religiosi arrivati intorno al 1680 e rimasti a Sassari per due lunghi secoli, fino alla metà dell'800. Questi fraticelli barbuti andavano in giro in nero, con un lungo abito e un mantello svolazzante e si dedicavano alla gestione di centri d'istruzione per giovanetti benestanti. A Sassari le rinomate "scuole pie" degli Scolopi, ispezionate anche dal Re Carlo Alberto nella storica visita del 1841, si trovavano all'interno del loro convento che occupava tutto quell'isolato, estendendosi sia sul lato di via Satta che dietro, nella parallela via Rosello. Come d'uso all'epoca, i padri erano piuttosto rigidi con gli allievi, chiamati scolopini, e gli schiaffi non si risparmiavano.

Quando gli Scolopi sloggiarono in seguito alle leggi del 1866 che confiscarono i possedimenti degli ordini religiosi, al Comune rimase la proprietà di tutto l'ex convento e si decise di confermare l'antico immobile come luogo d'istruzione, ampliandolo per una scuola tecnica. Fu necessaria una profonda ristrutturazione ed anche gli ambienti dove i frati vivevano furono convertiti in aule. L'imponente progetto di riqualificazione nacque nel 1874 dal calamaio dell'ingegnere civico Giuseppe Pasquali ed i lavori furono dati in appalto all'impresa edile di signor Salvatore Cugurra (quello che costruì il suo celebre palazzo in via Roma). Nel 1883 si trovò il modo di aprire in un'ala anche un piccolo osservatorio meteorologico, guidato dal professor Valenti. La scuola nell'ex convento ha così scavallato i secoli, arrivando fino a noi che la conosciamo da qualche decennio prima come la mitica  numero 3 e poi 7, il cui suggestivo ingresso è ancora quello dell'epoca.

La via aveva dovuto frattanto cambiare dicitura per la terza volta; dispersi gli Scolopi, il nome divenne "via del Teatro", visto che il teatro Civico ha sempre avuto l'ingresso esattamente lì. La parte del convento che dava su via Rosello (sporadicamente citata proprio come "via dietro agli Scolopi") era ormai adibita a locali che il Comune vendette o diede in locazione. Nel 1873 ci trovavamo signor Giovanni Pes, che di lavoro faceva il vermicellaio, cioè faceva la pasta, o signor Salvatore Corrias che aveva un negozio di coloniali e che affittò un locale, una cameretta al piano superiore e tre "grotte".

Curiosamente, queste enigmatiche grotte altro non erano che i lugubri sotterranei del convento, nei quali mai sapremo cosa avvenne nei secoli passati e che hanno successivamente alimentato le immancabili voci di fantasmi, ma a proposito di fantasmi sarebbe invece ben più probabile imbattersi nella buonanima dell'avvocato Sechi, il quale abitava nel suo palazzo un po' più in fondo alla via, nella curvetta dove inizia via ospizio Cappuccini, e che lavorò alle dipendenze del Ministero delle finanze nella seconda metà dell'800. Se doveste trovarlo ancora in giro o mentre si reca all'ex Intendenza di piazza Azuni, dove aveva l'ufficio, non spaventatevi, l'avvocato Sechi, infatti, si chiamava Lazzaro e nel 1857 aveva sopraelevato le soffitte di casa sua, che all'epoca venivano chiamate "il piano morto".

In conclusione, a testimonianza del valore delle scuole degli Scolopi, è interessante sapere che anche Enrico Costa fu uno scolopino, quando aveva circa 10 anni.


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La visione satellitare ci aiuta a comprendere come l'edificio scolastico di via Satta, sorto nell'ex convento degli Scolopi, sia ancora oggi perfettamente corrispondente a quello che fu il progetto redatto dall'ingegner Pasquali nel 1874, conservato all'archivio storico comunale.



*** Questa ricerca storica ha richiesto impegno e tempo. Per scopi divulgativi si può riprodurne in parte il testo, citando obbligatoriamente me ed il mio blog come fonte (anche qualora ne cambiassi le parole utilizzandone però le informazioni). Per scopi commerciali (libri, pubblicazioni etc.) è necessario chiedermi preventivamente anche il permesso. Grazie per la lettura. ***




domenica 12 aprile 2020

QUANDO CON LA FONTANA DEL ROSELLO SI FACEVA IL GHIACCIO PER LA CITTA'.

Testo e ricerca di Marco Atzeni (foto dal web, con la collaborazione di V. Lecis)
Se siete in possesso di foto o info aggiuntive, scrivetemi pure a sassariantica@gmail.com


Poiché nell’800 si doveva produrre artigianalmente il ghiaccio, a Sassari si decise di farlo proprio a pochi passi dalla principale fonte d’acqua della città. Ecco perché nelle foto più antiche della vallata del Rosello compare sempre una strana costruzione posta a pochi metri dalla fontana. I sassaresi la chiamavano “la fabbrica del ghiaccio”, sebbene fosse solo un casolare. Rimase in attività all’incirca fino al 1903, quando l’imprenditore Salvatore Azzena, un tempiese robusto con un elegante pizzetto, si fece carico di questa sorta di servizio pubblico nel suo ben più avanzato stabilimento a Santa Maria, dove già lavorava farine e sanse, cosa che, tra l'altro, gli causò non pochi problemi in seguito, visto che venne coinvolto in una snervante diatriba legale relativa alla concessione delle acque della città. In realtà, Azzena, che era un consigliere comunale assai attivo, venne investito dal polverone più per motivazioni legate a faide politiche che per la sostanza della questione, dalla quale fu peraltro assolto.

Il casolare del Rosello, invece, rimase in vita ancora per un po’, il Comune ci fece qualche soldo riciclandolo ed affittandolo come deposito, prima al signor Vittorio Pilo, che abitava in zona e ci parcheggiava il carretto, poi sino al 1911 alla cooperativa dei muratori. Alla fine sparì, vittima del ponte che ne causò profonde modifiche e del tempo.

Il casolare non va confuso con la misteriosa villa che si trova ancor oggi a poca distanza dalla fontana e che fu realizzata nel 1875 dal signor Boarelli che aveva una locanda in piazza Azuni, un amante della vita nell’agro, e proprietario anche dell’agrumeto al fianco del quale la villa fu costruita. Curiosamente, i mitici orti alle spalle del lavatoio, distesi sino all’odierna viale Sicilia e all’epoca percorsi dal rio che solcava la valle, appartennero ai fratelli Bertea, di origine piemontese proprio come Boarelli. Si chiamavano donna Antonietta e cavalier Vincenzo, la prima si prodigava per le orfanelle dell’appena nato rifugio Gesù Bambino di Cappuccini, mentre il fratello era il potente presidente del tribunale civile e penale di Sassari, libero di godersi i suoi amati orti quando venne collocato a riposo per anzianità nel 1915.

Nella foto in alto, sullo sfondo compare villa Boarelli, in primo piano la fontana e in mezzo, parzialmente nascosta, la fabbrica del ghiaccio, di cui si vede una cantonata. Lo scatto, tra i più suggestivi della Sassari di inizio secolo, fu realizzato nel 1905 da Cesare Pascarella, un poeta romano venuto in visita in Sardegna e passato anche per Sassari. Nel suo soggiorno turritano l'artista fece anche qualche altra foto, anch'esse diventate iconiche, poiché, come nel caso del Rosello, miravano a catturare le persone ed i loro usi e costumi, più che gli spazi circostanti. La motivazione risiedeva probabilmente nel fatto che non essendo un locale era molto incuriosito dal modo di vivere sardo, cosa che, invece, per i (pochi) fotografi sardi e sassaresi era una cosa più scontata e reputata, per l'epoca, meno interessante da ritrarre.


Da questa angolazione si ha una visione ancor più chiara di quanto raccontato. In particolar modo, sino a pochi decenni or sono (la foto dovrebbe essere degli anni '70) si identificava chiaramente la zona dove si trovavano i casolari con la fabbrica del ghiaccio. Il pilone del ponte che fu affondato nella stessa zona comportò probabilmente anche le modifiche sostanziali a quanto si trovava sotto. Si vedono anche gli orti che furono della famiglia Bertea e che a partire dal dopoguerra divennero noti poiché erano quelli che approvvigionavano il vicino mercato, questo avveniva però quando erano già passati di proprietà.